Make Ariani Great Again

a cura di Leonardo Bianchi
Make Ariani Great Again

L’eugenetica dello scorso secolo sta tornando sotto le mentite spoglie del pro-natalismo, un concetto promosso dalle estreme destre e dai broligarchi della Silicon Valley.

Non sono moltissime le persone al mondo seguite da Elon Musk su X. Ancora meno sono quelle con cui interagisce pubblicamente. Ed è soltanto una quella che ha ricevuto in un messaggio privato la proposta di diventare la madre dei suoi figli – senza però mai averlo visto dal vivo.

è successo qualche tempo fa a Tiffany Fong, una influencer statunitense specializzata in criptovalute e sostenitrice di Trump.

Come ha rivelato un’inchiesta del Wall Street Journal, Musk ha iniziato a seguirla e commentare assiduamente i suoi post nell’estate del 2024. L’improvvisa attenzione da parte dell’uomo più seguito di X le ha fatto guadagnare centinaia di migliaia di follower e decine di migliaia di dollari.

A un certo punto l’imprenditore le ha chiesto in privato se fosse interessata a procreare con lui; Fong ha però rifiutato, dicendo di prediligere una relazione più tradizionale. Per ripicca l’uomo più ricco del mondo ha smesso di seguirla e amplificarla su X, causandole un danno economico non indifferente.

A rendere il tutto ancora più disturbante – come se non lo fosse già abbastanza – c’è poi un’altra circostanza: non è la prima volta che Musk si comporta in questo modo.

Intorno alla primavera del 2023 aveva cominciato a tampinare su X un’altra influencer trumpiana, Ashley St. Claire, con cui poco dopo aveva avviato una relazione. Quando la donna è rimasta incinta, Musk aveva chiarito di non voler essere riconosciuto come padre.

In cambio del silenzio sulla paternità il magnate aveva così offerto alla donna un accordo che conteneva l’offerta di 15 milioni di dollari e un assegno di mantenimento da 100mila dollari al mese. C’era pure una richiesta piuttosto particolare: il parto sarebbe dovuto avvenire con taglio cesareo, che secondo Musk avrebbe garantito al bambino un migliore sviluppo del cervello. St. Claire non solo non ha accettato l’accordo, ma ha fatto causa per chiedere l’affidamento esclusivo e per far accertare la paternità di Musk.

President Donald Trump hosts an expanded bilateral meeting and working lunch with King Abdullah II of Jordan and his son, Crown Prince Hussein bin Abdullah, Tuesday, February 11, 2025, in the Cabinet Room of the White House. (Official White House Photo by Daniel Torok)

Romulus (questo il nome del bambino) è il quattordicesimo figlio che Musk ha avuto con quattro donne diverse: sei con la prima moglie Justine Wilson; quattro con Shivon Zilis, direttrice della sua azienda di neurotecnologia Neuralink; e tre con la cantante Grimes, che dice di essere quasi finita sul lastrico dopo un’estenuante battaglia giudiziaria per ottenere la custodia della prole.

I numeri di quella che Musk definisce la sua “legione romana” potrebbero però essere più elevati, perché l’uomo più ricco del mondo cerca di procreare il più possibile e con qualsiasi mezzo – il concepimento naturale, la fecondazione in vitro, la donazione del seme.

Lo fa perché da diversi anni è letteralmente ossessionato dal declino delle nascite e dal rischio dello spopolamento dell’Occidente.

“La Terra è quasi vuota”, ha scritto su X. “Invece di insegnare la paura della gravidanza dovremmo insegnare la paura del rimanere senza figli”, ha aggiunto sempre sulla sua piattaforma. E ancora: “il crollo del tasso di natalità è di gran lunga il più grande pericolo che la civiltà deve affrontare”. Se si continua così – ha detto in diverse occasioni – faremo la fine dell’Impero Romano, dissoltosi non appena “i romani hanno smesso di fare altri romani” (una tesi minoritaria nella storiografia).

Insomma: per Musk l’umanità rischia di estinguersi. Il fardello di garantire la sopravvivenza della specie ricade quasi interamente sulle spalle della gente come lui – ultraricchi con un elevato quoziente intellettivo.

Questa convinzione, che ricorda in maniera inquietante le trame di opere distopiche come I ragazzi venuti dal Brasile o il più recente Alien: Pianeta Terra, è condivisa anche da altri broligarchi.

Giusto per fare qualche esempio: Pavel Durov, il fondatore di Telegram, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano francese Le Point di avere oltre cento figli sparsi in dodici paesi diversi. “Sono il padre ufficiale di sei di loro, che ho avuto con tre donne diverse, gli altri sono nati dalle mie donazioni anonime”, ha precisato. Nel 2024 Durov ha anche offerto – tramite una clinica privata in Russia – un percorso di fecondazione in vitro gratuita con il suo seme a tutte le donne sotto i 38 anni di età.

Peter Thiel, cofondatore di PayPal ed eminenza grigia della corrente reazionaria della Silicon Valley, ha investito svariati milioni di dollari in tecnologie sperimentali per aumentare la fertilità e fare lo screening degli embrioni. In generale, i finanziamenti a startup specializzate nel settore sono schizzati alle stelle: nel 2022 sono arrivati a quasi 900 milioni di dollari, rispetto ai 134 del 2012.

Nel suo Manifesto tecno-ottimista, il venture capitalist e fondatore di Netscape Marc Andreessen ha scritto che “il nostro pianeta è drammaticamente sottopopolato” e che “la popolazione globale potrebbe espandersi fino a raggiungere 50 miliardi di persone o anche di più, e poi ben oltre man mano che colonizzeremo altri pianeti”.

Questo insieme di pratiche, suggestioni e teorie ha un nome specifico, tornato in auge sia dentro che fuori la Silicon Valley proprio in questi ultimi anni: pro-natalismo.


Immagine Via Wikipedia Commons.

Secondo una definizione generale, il pro-natalismo è “qualsiasi atteggiamento o politica ‘pro-nascita’ che incoraggia la procreazione”. Per i pronatalisti avere figli non è una scelta individuale, ma un imperativo per garantire il benessere della società.

In molti Paesi sviluppati (Italia inclusa) il tasso di fertilità è sceso ben al di sotto del livello di 2,1 figli per donna, che è il tasso di sostituzione per mantenere stabile una popolazione. Per quanto i demografi non condividano gli scenari apocalittici sul “collasso della civiltà”, il declino demografico è comunque fonte di legittime inquietudini di vario tipo – dalla tenuta dell’economia alla sostenibilità del sistema pensionistico e di welfare, e così via.

In apparenza, dunque, il pro-natalismo si fonda su argomentazioni razionali e scientifiche. Ma come scrive il ricercatore Luke Munn su The Conversation, ha implicazioni ben più problematiche e allarmanti quando si tramuta in un progetto politico “per incoraggiare la riproduzione dei membri di un determinato gruppo civile, etnico o nazionale”.

Per alcuni pro-natalisti il problema non è tanto il calo della natalità di per sé: è piuttosto chi si sta riproducendo, e chi non lo sta facendo. In questo senso il pro-natalismo è strettamente intrecciato con il nazionalismo, con ideologie di estrema destra e con teorie del complotto come la “sostituzione etnica“.

Nel suo primo discorso da vicepresidente, JD Vance ha detto di “volere più bambini negli Stati Uniti”. Il premier ungherese Viktor Orban ha ribadito più volte che “non vogliamo diventare popoli di razza mista”, e per questo ha promosso politiche pro-nataliste fortemente identitarie (che tuttavia non hanno dato i risultati sperati).

Sono discorsi spaventosamente simili a quelli dei terroristi neonazisti del passato e del presente. Il manifesto di Brenton Tarrant, che nel 2019 ha ucciso 51 persone di fede musulmana in un doppio attentato a Christchurch (Nuova Zelanda), iniziava con questa triplice invocazione: “Sono i tassi di natalità. Sono i tassi di natalità. Sono i tassi di natalità”.

David Lane, ex membro del gruppo paramilitare statunitense The Order, ha coniato il famigerato mantra delle “Quattordici parole” che recita così: “dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi”. Anders Behring Breivik, lo stragista norvegese di Oslo e Utøya, nel suo manifesto caldeggiava l’istituzione di cliniche statali dove “allevare” bambini di “razza nordica”.

Sotto questo punto di vista, il pro-natalismo è indissolubilmente legato all’eugenetica – un termine coniato nel 1883 dall’esploratore e antropologo britannico Francis Galton, cugino di Charles Darwin. Ispirandosi ai meccanismi di riproduzione animale, Galton incoraggiava le persone con tratti “desiderabili” a procreare, mentre andava impedito di farlo a quelle con caratteristiche “indesiderabili”.

L’indesiderabilità era causata – sempre secondo Galton – da caratteristiche genetiche immutabili, che tuttavia erano calcolate attraverso criteri arbitrari e del tutto pseudoscientifici. L’eugenetica era poi strettamente intrecciata con il razzismo, che all’epoca era una “scienza” comunemente accettata e considerata rispettabile.

La popolarità del concetto raggiunse il picco tra gli anni Dieci e Venti del Ventesimo secolo, grazie soprattutto al libro La caduta della grande razza dell’avvocato statunitense Madison Grant. A suo avviso l’immigrazione indiscriminata stava distruggendo gli Stati Uniti, rovinando la “carica genetica” del popolo bianco statunitense.

Per risolvere il problema Grant proponeva “un rigido sistema di selezione” attraverso l’eliminazione dei “rifiuti sociali” – identificati in “criminali, malati, deboli, pazzi, deboli e tipologie razziali inutili”. Non bisognava per forza di cose ucciderli; bastava sterilizzarli.

Le idee eugenetiche di Grant attecchirono non solo negli Stati Uniti, ma nel posto in cui non dovevano assolutamente prendere piede: la Germania nazista. Adolf Hitler descriveva La caduta della grande razza come “la mia Bibbia”, e portò alle estreme conseguenze le proposte dell’avvocato statunitense. Per depurare la “razza ariana” dalle impurità lanciò infatti la Aktion T4, il programma di eutanasia forzata delle persone con disabilità che causò tra le 275mila e le 300mila vittime.

Dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale l’eugenetica e il razzismo scientifico sono diventate parole proibite. Ma ultimamente – come ha rivelato un’inchiesta della ong antirazzista Hope not Hate – è in corso un preoccupante revival portato avanti da associazioni e intellettuali lautamente finanziati da imprenditori della Silicon Valley.

Nel dibattito pubblico, annotano i giornalisti Harry Shukman e Patrik Hermansson, stanno facendo sempre più capolino idee razziste ed eugenetiche. Non sono immediatamente riconoscibili come cent’anni fa, ma piuttosto nascoste sotto “strati di numeri e statistiche che servono a dare la parvenza di un rigore accademico, mentre in realtà sono distorsioni, travisamenti e manipolazioni della scienza”.

Molto spesso queste idee rientrano sotto il cappello apparentemente neutrale e ipertecnologico del moderno pro-natalismo, che sotto diversi aspetti è davvero una riedizione della vecchia eugenetica.


Simone e Malcolm Collins. Immagine Via Wikipedia Commons.

Come sottolineano Anne Rumberger e Marcy Darnovsky in un dettagliato articolo pubblicato su Science for the People, alcune startup (anche queste finanziate dalla Silicon Valley) stanno offrendo analisi sugli embrioni utilizzando “test di rischio poligenico” potenziati da algoritmi proprietari.

Questi embrioni vengono classificati in base al rischio di sviluppare patologie, disabilità o persino tratti comportamentali. La Società Europea di Genetica Umana ritiene che questi test siano scientificamente inaffidabili, eticamente discutibili e politicamente ambigui.

Inoltre, puntualizzano Rumberger e Darnovsky, la presunta attendibilità dei punteggi di rischio poligenico “è limitata dai pregiudizi razziali della ricerca medica”, perché “quasi tutti gli studi genomici su cui si fondano sono condotti su popolazioni bianche di origine europea”.

Nonostante ciò i test poligenici sono ampiamente sponsorizzati da Malcom e Simone Collins, una coppia statunitense di sostenitori trumpiani che è diventata il volto presentabile e mediatico del pro-natalismo.

I due – che finora hanno quattro figli ma puntano alla doppia cifra – hanno speso centinaia di migliaia di dollari per la fecondazione in vitro e per lo screening dei propri embrioni, con l’obiettivo di avere bambini “perfetti” attraverso la valutazione preventiva del quoziente intellettivo o del rischio di soffrire di depressione (una pratica che la comunità scientifica non ritiene possibile). Esattamente come i magnati della Silicon Valley, anche i Collins promuovono una “ricerca medica senza freni” per arrivare alla “produzione di massa di esseri umani geneticamente selezionati”.

Un simile approccio tecno-soluzionista è però fortemente contestato dall’ala tradizionalista del movimento pro-natalista, formata da fondamentalisti cristiani che considerano il concepimento solo all’interno della “famiglia naturale” e si oppongono a qualsiasi tecnica di riproduzione assistita.

Al di là di questa divergenza non indifferente, il pro-natalismo è comunque ancorato a una visione del mondo patriarcale e ferocemente anti-femminista. Se venisse ufficialmente adottato come politica statale, il peso della cura e dell’educazione della prole andrebbe a ricadere unicamente sulle donne, che a quel punto dovrebbe essere espulse dal mercato del lavoro e di fatto segregate a casa.

Non si tratta di un’eventualità remota: Elon Musk ha già provato a farlo. Secondo l’articolo del Wall Street Journal citato in apertura, l’uomo più ricco del mondo avrebbe allestito una sorta di harem in un compound ad Austin (in Texas) chiedendo alle madri di trasferirsi lì per crescere la sua “legione” al posto suo.

L’enorme e brutale paradosso del pro-natalismo sta proprio qui: i figli non sono considerati degli individui dotati di una propria dignità e meritevoli di amore paterno, ma gli strumenti di un progetto di dominio suprematista e razzista.

E se qualcuno nella prole degli eletti si ribella a questa destino predeterminato, allora viene dichiarato morto anche se è ancora in vita – esattamente com’è successo a Vivian Jenna Wilson, la figlia transgender di Musk che ha denunciato al mondo l’ipocrisia, l’anaffettività e la pericolosità dell’uomo che vorrebbe salvare la specie umana.

LEONARDO BIANCHI

Leonardo Bianchi è giornalista e scrittore. Collabora principalmente con Internazionale, Valigia Blu e il Manifesto. è autore della newsletter Complotti!, che si occupa di complottismo e disinformazione. Il suo ultimo libro è Le prime gocce della tempesta. Miti, armi e terrore dell’estrema destra globale.