Scroll Top

Architettura e Simbolismo di una Società Postumana

di Serena Tabacchi

Annibale Siconolfi, conosciuto anche come Inward, è un artista, architetto e sound designer italiano, con base in Irpinia, che ha costantemente sperimentato con diverse discipline, dall’arte al suono, dall’architettura alle tecniche 3D. Questi aspetti trovano la loro sinergia nella visione creativa di vasti paesaggi urbani che esplorano le tensioni tra un futuro tecnologicamente avanzato e il ritorno alla natura. 

Inanis, Annibale Siconolfi
Le città ideali concepite dall’artista Siconolfi sottolineano un’armonica simbiosi tra natura e architettura, lasciando spazio ad una crescita organica della vegetazione che abbraccia il cemento. Come nascono le tue visioni e quali sono gli studi che ti hanno permesso di affinare la tua poetica digitale?

Le mie visioni nascono da una serie di riflessioni e attrazioni per temi che riguardano la saturazione edilizia, il problema della sovrappopolazione, l’esponenziale evoluzione tecnologica, il rapporto uomo / natura. Sin da adolescente, ho sempre avuto un’attrazione per il mondo digitale, soprattutto per quanto riguarda la sperimentazione artistica mediante softwares sia di ambito sonoro che visivo. Uno step fondamentale per il mio percorso artistico è stato lo studio dell’Architettura presso l’università degli studi di Roma 3. Quest’esperienza mi ha fornito gli strumenti tecnici per la realizzazione delle mie visioni di paesaggi urbani futuristici. La creazione di questi scenari avviene mediante l’utilizzo di softwares di modellazione e rendering 3D.

Le tue opere sono prevalentemente immagini statiche, minuziosamente dettagliate e ad alta risoluzione. Cosa sai dirci del formato delle tue opere e quali i tool per la loro realizzazione?

I tool che utilizzo per la realizzazione dei miei lavori sono Maxon Cinema 4D per quanto riguarda la parte della modellazione, Otoy Octane per la renderizzazione, MOI3D per la modellazione di hard-surfaces che successivamente importo in C4D e Adobe Photoshop per la correzione dei colori. Per il montaggio e post-produzione delle animazioni utilizzo Adobe Premiere e After Effects. I formati variano a seconda della complessità dei modelli 3D. Tendo a renderizzare in 4K e quando questo non è possibile renderizzo ad una risoluzione minore per poi aumentarla in post-produzione tramite appositi softwares.

Negli scenari che presenti come fermo immagine di una possibile comunità futuristica, pochi sono i riferimenti alla società odierna. L’uomo viene ritratto a volte come divinità da ricordare, come un dio antico ora risorto sotto forma di androide. Quali sono le affinità che ritroviamo nelle tue opere con l’umanità e qual è la proposta alla quale auspichi in una civiltà post-umana?

In molti dei miei lavori possiamo osservare forme antropomorfe che in alcuni casi hanno una vera e propria funzione strutturale nello scenario urbano. L’utilizzo di questi elementi permette di percepire l’aspetto umano in un contesto apparentemente dominato dalla tecnologia automatizzata. Esteticamente ricordano molto l’immaginario degli androidi e potrebbero in qualche modo essere interpretate come delle divinità digitali. Con il crescente fenomeno della digitalizzazione dei nostri giorni, ho immaginato comunità del futuro che venerano la tecnologia dedicando a questa cattedrali, piazze, statue. Quello che mi auspico per il futuro è una pacifica integrazione tra tecnologia e natura. L’umanità deve fare i conti con degli strumenti che potenzialmente potrebbero essere molto dannosi sotto molti punti di vista. Bisogna saper dominarli e utilizzarli in modo etico e coscienzioso.

L'UMANITÀ DEVE FARE I CONTI CON DEGI STRUMENTI CHE POTENZIALMENTE POTREBBERO ESSERE MOLTO DANNOSI

Nel tuo passato la musica e la cultura underground (rave culture) ti hanno permesso di indagare nell’animo di coloro che abitano spazi abbandonati ricchi di memoria, fatti vibrare da onde sonore che scuotono le membra. Cosa porti della tua carriera da compositore-techno nelle tue opere?

Una parte importante del mio percorso artistico è stata quella della sperimentazione / produzione in ambito sonoro. Sono sempre stato affascinato dal concetto di rumore, dagli stimoli e percezioni che questo genera negli ascoltatori. Inoltre ho avuto modo di indagare sulle analogie che esistono tra le arti visive e il sound design. Esistono degli elementi comuni in questi due ambiti, come ad esempio il concetto di saturazione o quello appunto del noise, che mi hanno permesso di sperimentare con una certa dimestichezza diverse tematiche. Ho prodotto tracce ‘drum n’bass’ per diversi anni, pubblicate su etichette internazionali, collaborando anche con altri producer ed esibendomi in diversi club europei. Questo genere mi ha sempre affascinato per la sua complessità sonora. Ricordo ancora quando ascoltai per la prima volta il trio olandese Noisia, rimasi esterrefatto di fronte a tanta cura dei dettagli in una composizione di musica elettronica, era un suono proiettato al futuro, potente, distopico. Così decisi di intraprendere quel percorso e dedicare gran parte del mio tempo nella ricerca di un sound dettagliato e complesso.

The Darkest Hour, Annibale Siconolfi
Preferisci il lavoro autonomo, lontano dai riflettori e dal caos della città. Napoli la osservi da lontano… In che modo il territorio che abiti e la vicinanza con la città di Napoli influiscono sulla creazione degli scenari che rappresenti nelle tue opere?

Il luogo in cui vivo e lavoro, l’Irpinia, ha certamente influenzato la mia visione artistica. Vivere a stretto contatto con la natura, in un luogo che ha subito un importante spopolamento nel corso degli ultimi anni, in favore dei più grandi centri urbani, mi ha dato modo di ragionare e sensibilizzarmi su alcune delle tematiche che amo rappresentare. Discorso opposto va fatto per Napoli, una città che frequento da anni e che mi affascina per la sua complessità urbana, per il suo caos. E’ interessante osservare il contrasto tra il ‘vuoto’ del mare e l’area urbana satura di edifici. Antichità e modernità convivono in uno scenario che a volte può sembrare surreale. Questo connubio ha sicuramente trovato riscontro in diversi dei miei lavori.

Templi, moschee e cablaggi creano un agglomerato urbano in cui simboli e tradizioni del passato si integrano con scenari post apocalittici. C’è una forma di spiritualità che caratterizza i panorami che ritrai. Come elabori il sincretismo urbano contemporaneo con visioni di città elettriche e auto volanti?

Alla base del mio processo creativo c’è una volontà di immortalare visioni di un futuro in cui la convivenza tra tecnologia e uomo è portata alle estreme conseguenze. La rapidità con cui il mondo tecnologico si evolve è esponenziale. I Futuristi rappresentavano questo concetto già nei primi del Novecento, quando le città cominciavano a mutare a seguito dell’Industrializzazione. L’architetto Sant’Elia, durante quel periodo, elaborò le tavole della famosa “Centrale elettrica”, un’opera che ancora oggi influenza l’estetica delle architetture cyberpunk e sci-fi. Come all’epoca Sant’Elia veniva influenzato dal contesto tecnologico, che gli permetteva di ipotizzare visioni sul futuro delle aree urbane, allo stesso modo oggi si lavora sugli stessi temi ma in uno scenario molto più frenetico e complesso. Personalmente non mi interrogo molto su quella che è l’elaborazione di alcune tematiche, per me è qualcosa che viene prodotta naturalmente sfruttando gli strumenti e le idee che oggi noi artisti abbiamo a disposizione.

La crypto arte ha veicolato le tue opere su marketplace e alimentato una forma di collezionismo digitale delle tue creazioni. In che modo il fenomeno della tokenizzazione ha influito sulla tua crescita artistica? Ti senti parte della cosiddetta “community”?

La crypto arte è stata sicuramente una svolta per la mia carriera e quella di tanti altri artisti. Fino a qualche tempo fa, l’arte digitale veniva considerata non al pari di quella tradizionale. Grazie a questo fenomeno le opere digitali hanno cominciato ad assumere un maggior valore, non solo economico. Il movimento della crypto art ha portato alla luce molti talenti che spesso venivano ignorati proprio perché utilizzavano strumenti digitali per la creazione. La tokenizzazione di opere digitali  ha contribuito all’accettazione del computer come strumento di espressione artistica.