Arte ed Emoticon: il linguaggio delle emozioni nelle opere di Claire Fontaine
di Lavinia Landi
Se si inseriscono le coordinate 42.4437339 e 11.4855630 nelle mappe digitali, si arriva in un punto preciso dell’entroterra maremmano, in cima a un colle nei pressi della Fattoria Stendardi a Pescia Fiorentina, luogo scelto dal collettivo artistico neo-concettuale Claire Fontaine per una delle opere ispirate al linguaggio delle emoticon, realizzata per la sesta edizione del festival Hypermaremma. Sulla sommità di una struttura incompleta, in origine pensata per un utilizzo rurale, l’artista del ready-made – che rifiuta l’individualità delle sue due componenti – ha installato l’emoticon delle mani alzate, Left & Right, un simbolo “preconfezionato” che rientra nella sua ultima ricerca, focalizzata sul linguaggio delle emoticon. Le Emoticon, composizione inglese di emotion e icon, o in giapponese Emoji, sono le piccole icone usate nella comunicazione digitale, “sono i nostri geroglifici, pittogrammi per descrivere lo spirituale e il triviale”, racconta Claire Fontaine. Secondo il collettivo, le emoticon servono proprio per “descrivere le emozioni in assenza del corpo e della voce, quando le parole possono sembrare inadatte”.
Il primo a realizzarle fu l’americano Scott Fahlman, professore di informatica nel 1982, che propose la sequenza di caratteri : – ) “per evidenziare lo scherzo”, mentre il primo set di emoji – composto da oltre centosettanta icone – fu creato nel 1999 in Giappone da Shigetaka Kurita, e dal 2016 è parte della collezione del MoMA. Così, materializzando forme virtuali, come una sorta di “anti-nft”, Claire Fontaine trasforma delle icone scelte in sculture luminose che diventano “il ritratto ipercontemporaneo dei nostri rapporti sociali”, spiega, “fatti di messaggi scritti e disegni prefabbricati, scambiati su dispositivi elettronici che teniamo sempre accanto al nostro corpo e tocchiamo più frequentemente di quanto accarezziamo un qualunque essere vivente che ci circondi”. Tra le ultime opere: Melting Point, con la faccina gialla che si scioglie; On Fire, che ritrae la fiamma spesso usata come commento positivo; il sole in A Brighter Tomorrow; il mazzo di contanti in Stash e le mani alzate che mostrano i palmi nella scultura Left and Right, un gesto ambiguo e perciò interpretabile tra resa e approvazione.
Come ha scelto, nella moltitudine crescente di emoticon, quelle da trasformare in opera d’arte?
Abbiamo isolato quelle più scambiate nelle conversazioni sul riscaldamento globale, come quella del sole, il fuoco o la faccina che si scioglie; poi abbiamo anche isolato quelle che potevano rappresentare un significato più ambiguo, come quella delle mani sollevate, forse in segno di pace o di ammirazione.
Una delle principali critiche all’uso delle emoticon è che possa ridurre quello delle parole. Cosa ne pensa?
Le parole non sono l’unica forma di comunicazione umana, e l’idea che il linguaggio verbale o scritto sia una forma di espressione più evoluta delle altre segnala il fatto che viviamo in una società patriarcale e ignara di altri valori. L’uso degli emoji è un fenomeno creativo di induzione, deduzione, attiva creazione di convenzioni e investimento di senso. Come artista mi interesso soprattutto all’aspetto del ready-made, una novità e una forma creativa per comunicare a distanza.
Ci sono stati diversi dibattiti sull’inclusione di alcune emoticon mancanti, come il colore dei capelli o della carnagione, le disabilità. Nelle battaglie per il linguaggio politicamente corretto e inclusivo, che ruolo ricoprono le emoticon?
È difficile immaginare che le emoticon possano esprimere tutta la complessità di cui sentiamo il bisogno, ed è umano accorgersi che alcune scelte traducono una rappresentazione del mondo. In ogni caso, osservando il modo in cui questi fenomeni evolvono e il valore d’uso che le persone attribuiscono a delle forme prefabbricate, riteniamo che le emoticon più interessanti siano quelle meno realistiche e che lasciano più spazio alla creatività.
Lavinia Landi
Laureata al Trinity College di Dublino in Letteratura Inglese e Sociologia, nel 2023 consegue il Master in Giornalismo presso la New York University. Attualmente lavora come giornalista per La Repubblica Firenze e altre testate, occupandosi di arte e cultura.