Come funziona il sistema di credito sociale in Cina
di Camilla Fatticcioni
Le nuove linee guida del sistema di credito sociale cinese inaspriscono le misure contro i comportamenti disonesti. Le aziende classificate come gravemente disoneste dovranno affrontare restrizioni significative, tra cui il divieto di accedere a fondi governativi, incentivi fiscali e offerte di titoli. Anche le liste nere specifiche del settore si stanno espandendo, segnalando una sorveglianza più severa nei settori immobiliare, dei servizi internet, delle risorse umane e dell’energia.
Nel 2016 le distopie raccontate in Black Mirror, famosa serie distopica britannica, sembravano lontane anni luce dalla nostra quotidianità. Oggi, a quasi dieci anni dall’uscita della terza stagione, episodi come Nosedive (S3,E1) non ci sorprendono più, e risuonano come inquietanti premonizioni del presente. Nell’universo di Nosedive, ad esempio, ogni individuo riceve un “punteggio di reputazione” basato sulle proprie interazioni e sul comportamento tenuto online: un voto che diventa valuta sociale, condizionando l’accesso a servizi, opportunità lavorative e persino alle relazioni personali.
Negli stessi anni in Cina si parlava già di rendere il sistema di credito sociale pensato nel 2014 una realtà concreta. I titoli dei quotidiani internazionali dell’epoca descrivevano già scettici la scelta di Pechino paragonandola alla serie tv: “In Cina come in un episodio di Black Mirror”. Ad oggi, il sistema di credito sociale cinese non è ancora omogeneo né del tutto maturo, ma rappresenta un laboratorio senza precedenti di ingegneria sociale digitale.
Il sistema di credito sociale ha dimostrato la sua efficacia in particolare nel 2020 durante il Covid: il Governo si è affidato a questa infrastruttura per monitorare gli spostamenti dei cittadini e arginare la diffusione del virus, incentivando la popolazione ad aderire alle misure sanitarie. Grazie all’incrocio di dati di trasporti, transazioni finanziarie e comportamenti online, è stato possibile isolare rapidamente focolai e punire chi violava le norme, contenendo, anche se solo in parte, la diffusione del virus all’interno del Paese.
Il sistema di credito sociale cinese non è ancora omogeneo né del tutto maturo, ma rappresenta un laboratorio senza precedenti di ingegneria sociale digitale.
Il sistema di credito sociale cinese è un insieme di regolamenti e infrastrutture digitali pensate per valutare la “affidabilità” di individui, imprese e enti pubblici, raccogliendo dati da fonti eterogenee, come i pagamenti, i precedenti giudiziari o i comportamenti online, per assegnare punteggi o inserire i cittadini nelle “blacklist”. L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere comportamenti virtuosi, scoraggiare le violazioni di legge e migliorare la “fiducia” sociale, mentre i critici avvertono che questo generi un controllo pervasivo, limitazioni delle libertà individuali e rischi di errori o discriminazioni arbitrarie. Nella vita di tutti i giorni, il sistema può influenzare la possibilità di viaggiare, accedere a prestiti, prenotare alberghi, usare servizi di bike-sharing, iscrivere i figli a scuole private e persino la velocità di connessione internet, a seconda del punteggio o della presenza in blacklist.
Gli enti centrali, a partire dalla Corte Suprema e dalla Banca Popolare Cinese, hanno definito linee guida nazionali per la gestione delle liste di esclusione che colpiscono chi non ottempera a sentenze civili, mancanze fiscali o violazioni amministrative. Parallelamente, operatori privati come Ant Financial con il suo Zhima Credit hanno sperimentato modelli di punteggio numerico basati su comportamenti di spesa, cronologia dei pagamenti e rapporti di rete sociale, offrendo vantaggi quali procedimenti burocratici semplificati e prestiti “fast-track” per chi mantiene un buon rating.
Per alimentare queste valutazioni il sistema attinge da una molteplicità di fonti: app di pagamento mobile (Alipay, WeChat Pay) che tracciano ogni transazione e puntualità nei rimborsi, registri giudiziari pubblici che annotano le inadempienze, dati sui trasporti in tempo reale per monitorare spostamenti e penalità in caso di cancellazioni o abusi, telecamere di sorveglianza e riconoscimento facciale installate negli spazi urbani, segnalazioni di infrazioni civiche – dal mancato riciclo dei rifiuti alla violazione del codice della strada – fino a quiz e partecipazione civica sulle app governative.
Se da un lato ha reso molto più semplici alcune azioni quotidiane grazie al riconoscimento facciale, come ad esempio comprare biglietti del treno senza dover tirar fuori il portafoglio, dall’altro lato ha portato a una crescente preoccupazione per la privacy e il controllo. La possibilità che ogni gesto – anche il più banale – venga tracciato, valutato e potenzialmente penalizzato introduce una logica premiale-punitiva che rischia di soffocare l’autonomia individuale e il dissenso, portando ad una comunità dove le relazioni umane vengono filtrate da punteggi e algoritmi, e dove la spontaneità lascia il posto a una performance continua.
In Occidente, sebbene non esista un sistema di credito sociale unificato come quello immaginato dal regista Charlie Brooker, molte piattaforme digitali implementano algoritmi di reputazione simili: basti pensare alle recensioni su e-commerce, ai badge degli utenti esperti sui forum o ai “mi piace” sui social. Andiamo nei ristoranti con le migliori valutazioni, scegliamo l’albergo con più recensioni positive, ci fidiamo degli influencers con il maggior numero di followers e visualizzazioni: si tratta di un sistema che conosciamo ormai da tempo, anche se non ha (ancora) preso le pieghe distopiche descritte in Black Mirror.
Camilla Fatticcioni
Dopo la laurea in lingua cinese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Camilla ha vissuto in Cina dal 2016 al 2020. Nel 2017 ha iniziato un master in Storia dell’Arte presso la China Academy of Art di Hangzhou, interessandosi all’archeologia e laureandosi nel 2021 con una tesi sull’iconografia buddista delle grotte di Mogao a Dunhuang. Combinando la sua passione per l’arte e la fotografia con lo studio della società cinese contemporanea, Camilla collabora con diverse riviste e cura la rubrica Chinoiserie per China Files.