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NET ECOLOGY

Geologia dei media: la terra dietro ai nostri schermi

di Laura Cocciolillo

L’era digitale si avvolge nella retorica dell’etere. “Cloud”, “rete”, “intelligenza artificiale” – parole che galleggiano nel nostro immaginario come immagini di leggerezza, disincarnazione, astrazione. Ma l’etere è un miraggio semantico: non c’è nuvola che non sia sostenuta da una montagna, non c’è interfaccia che non si radichi nella materia. Dietro la superficie liscia e trasparente dello schermo pulsa una realtà geologica, ruvida, pesante, scavata: è lì che Anatomy of an AI System di Kate Crawford e Vladan Joler ci costringe a guardare. Non verso l’alto, ma verso il basso; non nel futuro immateriale promesso, ma nel presente profondamente materiale dell’estrazione.

Al centro del progetto c’è l’Amazon Echo, un oggetto domestico, docile, quasi invisibile. Ma è proprio in questa docilità che si condensa una sofisticata rete di potere. L’opera, formalmente un diagramma iperdenso e multidimensionale, disseziona il ciclo di vita di questo dispositivo – dalla sua genesi mineraria alla sua obsolescenza tossica – per renderne visibile l’infrastruttura globale, coloniale e necropolitica. L’Echo diventa un punto di accesso per comprendere ciò che la retorica dell’AI nasconde: non una “mente artificiale”, ma un assemblaggio transnazionale di relazioni tra risorse, lavoro e dati, inscritto in dinamiche storiche di sfruttamento.

La tecnologia, ci ricorda l’opera, è prima di tutto geologia trasformata. Non è un’astrazione, ma un’accumulazione di processi geochimici, termodinamici e logistici che iniziano nella crosta terrestre. Il coltan del Congo, il litio del Cile, il rame del Perù, le terre rare della Mongolia Interna: la materialità del dispositivo è stratificata come una sezione di terreno. In questa prospettiva, Anatomy of an AI System partecipa a una critica radicale della smaterializzazione del digitale, mostrando che ogni operazione computazionale ha un’origine terrena, una genealogia minerale.

 

Ma questa geologia non è neutra. È già politica, già biopolitica, anzi, necropolitica, nel senso di Achille Mbembe: è una cartografia del potere che determina chi vive, chi muore, chi lavora, chi respira aria tossica. L’estrazione non è solo un processo tecnico, è un dispositivo di organizzazione globale del valore e della vulnerabilità. In questo senso, la geologia dei media è anche una geografia della violenza.

La promessa dell’AI è quella dell’automazione, dell’intelligenza senza soggetto, dell’elaborazione senza intervento umano. Ma ciò che Anatomy of an AI System dimostra con straordinaria lucidità è che ogni forma di intelligenza automatica è sostenuta da una moltitudine di intelligenze umane precarie, dislocate, sfruttate.

Se la nascita del dispositivo è fondata sull’estrazione, la sua morte non è meno violenta. I rifiuti elettronici rappresentano la fase terminale del ciclo, ma non ne segnano la fine.

Ogni Echo è reso possibile da corpi invisibili: i minatori che estraggono i materiali, gli operai che assemblano i componenti nelle fabbriche Foxconn, i lavoratori della logistica Amazon, gli annotatori anonimi che nutrono gli algoritmi con dati ordinati e classificati. Anche il consumatore stesso diventa parte della macchina, non solo come utente, ma come fonte di dati, come produttore inconsapevole di valore.

Questa dinamica mette in crisi la separazione classica tra macchina e umano, tra utente e sistema. L’AI non è un’entità distinta dall’umano, ma un’infrastruttura che lo assorbe, lo sfrutta, lo ridistribuisce. Crawford e Joler rendono visibile questo “sottosuolo” umano, ribaltando la narrazione techno-utopica e mostrando che l’intelligenza artificiale è una forma di divisione algoritmica del lavoro – una continuazione del capitalismo con altri mezzi.

Se la nascita del dispositivo è fondata sull’estrazione, la sua morte non è meno violenta. I rifiuti elettronici rappresentano la fase terminale del ciclo, ma non ne segnano la fine. Piuttosto, la morte del dispositivo è la sua diffusione tossica: materiali non degradabili che si accumulano in discariche illegali, soprattutto nel Sud globale, restituendo alla terra una materia corrotta, instabile, cancerogena.  I rifiuti elettronici che bruciano ad Agbogbloshie o Guiyu incarnano ciò che Shannon Mattern chiama “infrastrutture fantasma”: sistemi che continuano ad agire anche quando dichiarati obsoleti, contaminando terre e corpi.

Crawford e Joler parlano la lingua del residuo: la tecnologia come detrito, come rifiuto che prolunga la sua azione distruttiva oltre l’uso. In questa fase si manifesta una forma di temporalità tossica, che interrompe la linearità del progresso tecnologico. L’e-waste non invecchia: persiste, contamina, si stratifica. L’opera ci ricorda che la promessa di innovazione ha un costo che non viene mai pagato nel tempo e nello spazio in cui viene prodotto valore, ma altrove – in altri corpi, in altri ecosistemi.

La forza estetica di Anatomy of an AI System risiede nella sua forma diagrammatica. In un’epoca in cui la visualizzazione tende alla semplificazione, Crawford e Joler scelgono la complessità. Il loro diagramma non è un’illustrazione, ma una macchina concettuale: una topografia del sistema tecnico-sociale che ci obbliga a un tipo di attenzione lenta, stratificata, contro-intuitiva.

L’opera non propone una visione dall’alto, bensì una sezione trasversale: un taglio orizzontale che attraversa la superficie e penetra i livelli più profondi della produzione tecnologica. È un atto di scavo critico, una pratica artistica che si fa geofilosofia, un’ecologia visiva capace di restituire il “peso del mondo” a un oggetto che ci è stato venduto come levitante.

In un’epoca che vorrebbe sollevarsi da ogni gravità, l’opera ci restituisce la responsabilità di guardare in basso, di toccare il suolo da cui tutto ha origine, e in cui tutto ritorna – spesso in forma tossica. Ripensare la tecnologia a partire dalla sua geologia significa reimpostare la nostra relazione con i media, non più come strumenti “al nostro servizio”, ma come ecologie artificiali che implicano, modellano, consumano il mondo. L’arte, in questo contesto, non è decorazione, ma strumento di rivelazione. Anatomy of an AI System ci offre una lente per leggere la materia politica del digitale, e ci sfida a concepire una forma di intelligenza non basata sulla previsione, ma sulla memoria: la memoria della terra, dei corpi, delle ferite.

Laura Cocciolillo

È una storica dell’arte specializzata in arte e nuove tecnologie e in estetica dei nuovi media. Dal 2019 collabora con Artribune (di cui attualmente si occupa dei contenuti di nuovi media). Nel 2020 fonda Chiasmo Magazine, rivista indipendente e autofinanziata di Arte Contemporanea. Dal 2023 è web editor per Sky Arte, e dallo stesso anno si prende cura, per art-frame, della rubrica “New Media”, dedicata all’arte digitale.

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