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Hypersurfaces

di Fabio Gnassi

Bruno Zamborlin, PhD, è un rinomato ricercatore nel campo dell’intelligenza artificiale, imprenditore e artista, riconosciuto per aver rivoluzionato l’interazione uomo-computer attraverso le sue startup: Mogees, HyperSurfaces e HyperSentience. Il suo lavoro si concentra sulla trasformazione di oggetti e superfici di ogni materiale e forma in entità interattive e intelligenti tramite sensori di vibrazione. Con base tra Londra e Milano, Bruno Zamborlin è un frequente relatore presso TED e ricercatore onorario presso la Goldsmiths University Of London. Le sue opere sono state esposte in sedi quali la Biennale di Venezia e il Museo Victoria & Albert di Londra.

Ci parli di HyperSurfaces: come funziona la tecnologia che ne sta alla base e quali sono le premesse che hanno portato alla sua nascita?


Mi interessava la possibilità di rendere gli spazi e le superfici in grado di rispondere a ciò che accade intorno a loro, di adattarsi, e anche di farci rallentare, di aiutarci a creare connessioni tra noi e l’ambiente, nonché tra noi ed altre persone e con noi stessi.

In questo senso, è una tecnologia che va controcorrente: non cerca di ottimizzare i nostri tempi, renderci più produttivi e stressati, ma piuttosto di farci assaporare quello che è già intorno a noi. Il funzionamento della tecnologia combina sensori di vibrazione con algoritmi speciali. In questo modo, qualunque superficie può diventare un’entità sensibile, capace di riconoscere e rispondere a qualsiasi interazione fisica, dalla carezza più leggera a un passo, o anche a eventi atmosferici come una goccia di pioggia o una folata di vento. Queste interazioni vengono poi trasformate in suono, luce e dati. Questo rappresenta per me un punto di incontro tra tecnologia e arte. È un modo per dare voce agli spazi e agli oggetti che ci circondano, trasformando luoghi e superfici in esperienze sensoriali condivise.

Bruno Zamborli ©Alessandro Saletta e Melania Dalle Grave
Il suo lavoro di ricerca è profondamente legato all’interazione uomo-computer, potrebbe illustrare la sua visione sullo stato attuale di questa tematica?

Credo che la tecnologia debba servire a migliorare la nostra vita e il nostro rapporto con gli altri, piuttosto che renderci semplicemente più “produttivi”. L’ultimo decennio è stato dominato da touchscreen e social media, con conseguenze devastanti sulla salute mentale di molte persone.

Ora stiamo assistendo a un fenomeno ancora più accentuato, con tecnologie sempre più integrate e pervasive, che vanno ben oltre i tradizionali schermi tattili.

Assistenti onnipresenti che completano i ragionamenti per noi, in auto e case sempre più automatizzate, indossando dispositivi che monitorano la nostra salute costantemente. Queste innovazioni rendono la tecnologia più accessibile e intuitiva, ma anche molto più invasiva. Ci sentiamo spinti a essere sempre più rapidi e a eliminare ogni tempo morto, il che ha compromesso la nostra capacità di concentrarci e il nostro senso d’identità e quello di collettività. Nel mio lavoro e nella mia arte cerco di offrire un approccio diverso, mostrando che la tecnologia può essere un ponte che ci avvicina di più al mondo e alle persone che ci circondano.

Operando su oggetti fisici e spazi reali, HyperSurfaces è profondamente legato al design e all’architettura. Che tipo di sinergia potrebbe nascere con queste discipline e quali sono i progetti più significativi realizzati fino ad ora?

Collaborando con architetti e designer, è possibile concepire spazi che offrano la possibilità di creare esperienze sensoriali diverse, che promuovano una maggiore connessione tra le persone e l’ambiente che li circonda.

Per la Biennale di Venezia 2023, insieme allo studio di architettura Orizzontale abbiamo rivitalizzato il giardino semi-abbandonato del castello di Belmonte Calabro (denominato Belmondo) introducendo anche una serie di arredi sonori interattivi. Questi arredi, dotati di HyperSurfaces, catturano le vibrazioni prodotte dai visitatori e dall’ambiente circostante, trasformandole in una composizione musicale unica ed interattiva a cui i visitatori del Padiglione Italia hanno potuto contribuire attivamente.

È stato un esperimento di rigenerazione urbana e sociale che ha utilizzato strumenti digitali per incoraggiare un ascolto attivo verso i luoghi e tra le persone. Allo stesso tempo, queste esplorazioni ci fanno riflettere sulla quantità di dati generati dalle tecnologie che ora ci circondano in modo ubiquo.