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Il fascino delle installazioni immersive: dal suolo al cosmo

di Alessandro Mancini

Lo scorso luglio hanno incantato decine di migliaia di persone con l’opera site specific Nebula, realizzata per Videocittà, il festival della video-arte, in collaborazione con il maestro della musica elettronica, Giorgio Moroder, all’interno del Gazometro di Roma. Sono i Quiet Ensemble, un duo di creativi italiani specializzati in arte digitale e tra i più attivi creatori di installazioni immersive in Europa. Il duo, costituito da Fabio di Salvo e Bernardo Vercelli, ha partecipato ad alcuni dei più importanti festival internazionali come Noor Riyadh, Sonar e Signal, e indaga, con le loro opere, il rapporto, sempre più complesso e stratificato, tra uomo e natura.

Per Videocittà hanno realizzato un’installazione composta da ben quattrocentomila stelle artificiali che hanno illuminato il gigantesco cilindro metallico di oltre tremila mq di superfice e settantacinque metri di altezza. A completare l’opera, le musiche originali composte appositamente da Giorgio Moroder, pioniere dell’uso del sintetizzatore, tre volte Premio Oscar e recentemente insignito con un David di Donatello alla Carriera. Per l’occasione, li abbiamo intervistati.

Nebula, Quiet Ensamble, 2024
Dal 5 al 7 luglio scorsi siete stati ospiti di Videocittà per la terza volta con l’opera site-specific Nebula. Ci spiegate in cosa consiste?

Nebula è il nostro ultimo lavoro in cui siamo andati a trasferire simbolicamente una sezione del cosmo all’interno del Gazometro. In questo caso ci siamo dovuti confrontare con una location immensa: quando siamo entrati dentro, ci siamo resi conto che si trattava di una sfida davvero impegnativa. Nel realizzare l’opera, abbiamo voluto assecondare l’istinto che hanno le persone quando entrano in questo spazio di guardare verso l’alto e osservare il cielo. Il nostro intento era quello di cercare di avvicinare l’uomo alle stelle, portando un pezzo del cosmo all’interno del Gazometro.

Nebula segue una drammaturgia di quindici minuti che prevede un ipotetico viaggio alla velocità della luce: si parte dal suolo, ossia dalla Terra, e si viaggia verso il firmamento, mostrando tutto quello che un viaggiatore celeste andrebbe a incontrare durante il tragitto. Quindi un primo contatto velocissimo con le fronde degli alberi, a seguire le nuvole, per poi vagare, per la maggior parte del tempo, nel vuoto cosmico, dove avvengono incontri di varia natura. Uno degli elementi che ci interessava di più riprodurre erano appunto la nebule, ammassi di gas e polveri stellari.
Al loro interno nascono e muoiono le stelle. Questo lavoro è coerente con il tipo di ricerca che portiamo avanti da quando abbiamo cominciato perché rappresenta un connubio tra natura e tecnologia. In questo caso la tecnologia (laser programming curato da Davide Carbone) riproduce un elemento naturale ben noto, che riportiamo qui sulla Terra. Il nostro non vuole essere un vuoto esercizio di stile: abbiamo preferito puntare sulla semplicità e svuotare lo spazio piuttosto che riempirlo di elementi superflui. Con il nostro lavoro puntiamo a sottolineare la bellezza delle piccole cose e di tutti quegli eventi nascosti o ignorati che abbiamo sotto i nostri occhi senza dargli il giusto peso.

L’opera prevede l’utilizzo delle musiche originali di Giorgio Moroder, mostro sacro della musica elettronica e disco. In cosa consisterà questa collaborazione e cosa vuol dire per voi lavorare con un maestro come lui?

Lavorare con Giorgio Moroder è stata un’esperienza molto potente ed emozionante. La collaborazione è avvenuta con naturalezza: lui ha capito da subito quello che volevamo esprimere e quando abbiamo provato la traccia che ci ha consegnato all’interno dello spazio, assieme alle luci, ci siamo resi conto che era perfetta. Abbiamo fornito solo alcuni pareri su un paio di accorgimenti da fare. Lui è una persona molto intuitiva e ci sono piaciute molto la sua curiosità, apertura e umiltà. È stato un modello da seguire per noi.

Dall’inizio della vostra carriera a oggi avete partecipato a molti festival e manifestazioni e realizzato diverse installazioni qui a Roma. Che legame avete con la città eterna? E soprattutto, vi sembra che la capitale si stia aprendo e sia pronta ad accogliere più eventi e opere d’arte contemporanea rispetto al passato?

Roma ci piace tantissimo, è splendida, ha tanti aspetti positivi e altrettanti negativi, anche se noi lavoriamo molto di più fuori dall’Italia di solito. Ci sono alcuni festival ed eventi che ci permettono di lavorare qui, Videocittà è uno di questi. Purtroppo, attualmente, non riusciamo a vivere e lavorare in questa città. Il problema del pubblico romano è che deve essere un pochino allenato e sentirsi anche annoiato, nel senso che non bisogna dargli, secondo noi, quello che si aspetta. Per questo motivo abbiamo cercato di “asciugare” l’opera senza esagerare con gli effetti speciali, che è una richiesta molto frequente ultimamente. Le persone vogliono la photo opportunity, la selfie room, postare sui social le opere. Noi vorremmo invece in qualche modo allontanarci da tutto questo. Riuscire a creare opere dove il pubblico riesce potenzialmente a tenere il telefono in tasca e a godersi il momento, proprio come quando osservi un bel tramonto ti rendi conto che è meglio ammirarlo dal vivo piuttosto che scattare una foto ricordo.

Il suono, come la luce, sono elementi fondamentali in una ricerca artistica dove la tela è costituita dal tempo

Uno dei temi al centro della vostra ricerca artistica è l’osservazione dell’equilibrio tra caos e controllo, natura e tecnologia. In un mondo che sembra sempre più polarizzato, credete sia ancora possibile trovare una sintesi efficace tra i due estremi? Voi ci siete riusciti attraverso la vostra arte? Come?

Il nostro percorso non è stato lineare, l’ago della bilancia si è continuamente spostato. Inizialmente era molto più puntato sulla natura, andando avanti si è sbilanciato verso la tecnologia, ma è, appunto un ago che si muove e si sposta e noi stessi rimaniamo sorpresi da questi cambiamenti. La natura è un ventaglio infinito di spunti, di stimoli ed è molto difficile gestirla. Tramite la tecnologia abbiamo provato a trovare un equilibrio tra caos e controllo. Questa tecnologia galoppante che si sviluppa in maniera estremamente veloce è per noi un motivo di spunto, di riflessione e di stimoli. Escono ogni giorno nuovi apparecchi che ci permettono di riprodurre o collaborare con elementi naturali. Non ci sentiamo di dire di avercela fatta perché un’affermazione del genere ci farebbe sentire arrivati, mentre noi vogliamo tenerci aperti alla ricerca, essere affamati di novità e mantenere viva la curiosità.

Quite Ensemble, Portrait
Nelle vostre opere gli elementi “suono” e “luce” sono fondamentali. In che modo li combinate tra loro e da dove nasce il vostro interesse per i “concerti invisibili” che prendono vita intorno a noi?

Il suono, come la luce, sono elementi fondamentali in una ricerca artistica dove la tela è costituita dal tempo. In una situazione temporale, gli strumenti che si possono utilizzare sono il visibile, che viene reso tale attraverso l’illuminazione, e l’udibile, quindi il suono. Questo non significa che un’opera debba necessariamente avere entrambi gli elementi. Un lavoro può benissimo essere solo di tipo visivo e non avere bisogno del suono e viceversa. In generale, se vogliamo comunicare qualcosa di specifico, cerchiamo di togliere e non di aggiungere elementi che possono confondere il pubblico.

Oggi si parla sempre di più di intelligenza artificiale, spesso a sproposito e senza competenze in merito. Cosa pensate delle nuove tecnologie e qual è il ruolo che ricoprono nel processo di creazione ed espressione della vostra arte?

L’intelligenza artificiale è estremamente interessante perché in qualche modo si avvicina alla natura per questa sua “vita propria” che disarma, affascina e allo stesso tempo spaventa. Abbiamo fatto un paio di lavori con l’AI: in uno, Malerba, che significa “Erbaccia”, abbiamo ripreso delle erbacce che crescono spontanee sul terreno e le abbiamo riproiettate in formato gigante su degli schermi, trasformandole in alberi in via d’estinzione. In questo caso l’intelligenza artificiale ci è stata molto utile perché ha svolto un lavoro di ricerca minuzioso e ha animato il video secondo l’idea che avevamo in mente, ossia istituire un parallelismo tra le erbacce e gli alberi considerati tali. Per il resto, non abbiamo ancora lavorato molto con questa nuova frontiera tecnologica. Vi terremo aggiornati.

Alessandro Mancini

Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.