NET ECOLOGY
Quanto inquina l’arte AI-generated?
di Laura Cocciolillo
Se nelle ultime settimane vi siete lasciati coinvolgere dalla lettura di questa rubrica, una cosa sarà ormai chiara: gli artisti che utilizzano le nuove tecnologie per affrontare i temi dell’ecologia e della crisi climatica sono sempre più numerosi. L’arte digitale, con i suoi strumenti avanzati – dall’intelligenza artificiale alla modellazione 3D, fino alle installazioni immersive – sta ridefinendo il nostro modo di percepire e rappresentare il rapporto non solo con la tecnologia, ma anche con la natura.
Ma quanto sono davvero sostenibili queste tecnologie? Qual è il costo ambientale della loro produzione e del loro funzionamento? Se è vero che opere come Large Nature Model di Refik Anadol ci promettono di farci “sentire” la natura attraverso l’elaborazione dei dati, è altrettanto indiscutibile che il processo per generarle richieda una quantità considerevole di risorse energetiche e infrastrutture tecnologiche ad alto impatto – anche se, dichiara l’artista in un’intervista a artnet, “negli ultimi quattro anni, tutte le nostre ricerche con l’intelligenza artificiale hanno utilizzato dati etici e risorse ecosostenibili.
Naturalmente, non vogliamo danneggiare la natura mentre creiamo opere d’arte sulla natura”. Tuttavia, anche utilizzando energie rinnovabili, l’addestramento di modelli di intelligenza artificiale comporta consumi energetici elevati, nonché – nel caso del lavoro di Anadol – la connettività a un supercomputer di Los Angeles e al Google Cloud. E ancora, le proiezioni immersive e le installazioni interattive, spesso alimentate da server potenti e sistemi di rendering avanzati, richiedono materiali non sempre riciclabili e una manutenzione costante. Ci troviamo dunque di fronte a un paradosso: da un lato, queste opere denunciano il cambiamento climatico e ci invitano a riflettere sull’urgenza della crisi ecologica; dall’altro, il loro stesso processo di produzione è tutt’altro che sostenibile. È possibile immaginare un’arte tecnologica veramente eco-compatibile?
Per addestrare un modello di intelligenza artificiale servono immense quantità di potenza di calcolo. Secondo una ricerca di Emma Strubell del 2019, il training di un modello AI di grandi dimensioni può generare fino a 284 tonnellate di CO₂, l’equivalente di cinque volte le emissioni prodotte da un’auto durante il suo intero ciclo di vita. Anche se le architetture AI sono diventate più efficienti, la tendenza alla creazione di modelli sempre più complessi rende il problema sempre più rilevante.
I data center globali, nel 2022, hanno rappresentato circa il 2% delle emissioni mondiali di CO₂, una quota comparabile a quella dell’intero settore aeronautico.
Ma il consumo energetico non si esaurisce nel training iniziale. L’uso quotidiano di un modello AI richiede server attivi 24/7, ospitati in data center che consumano quantità enormi di elettricità e acqua per il raffreddamento. I data center globali, nel 2022, hanno rappresentato circa il 2% delle emissioni mondiali di CO₂, una quota comparabile a quella dell’intero settore aeronautico.
Se un’installazione artistica immersiva utilizza AI e reti neurali per generare immagini in tempo reale, lo fa grazie a server che consumano kilowatt su kilowatt. Se è ospitata in un museo o una galleria, richiede schermi ad alta risoluzione e proiettori, spesso accesi per ore o giorni. E se viene esposta in diverse città, l’impatto aumenta a causa della logistica legata al trasporto delle attrezzature e delle squadre tecniche. Questo crea un evidente cortocircuito concettuale: si celebra la bellezza e la complessità della natura attraverso opere che contribuiscono, indirettamente, alla sua distruzione. Se un dipinto tradizionale poteva avere un’impronta ambientale minima, un’installazione AI-driven ha costi ecologici difficili da ignorare.
Come possono gli artisti e i curatori affrontare questa contraddizione? Alcuni tentativi sono già in corso: l’uso di server alimentati da energia rinnovabile, appunto, o l’ottimizzazione dei modelli AI per ridurre il consumo energetico e la scelta di hardware più efficienti. Tuttavia, la soluzione più radicale potrebbe essere una nuova riflessione sulla necessità stessa di certe produzioni: è possibile fare arte digitale sulla natura senza impattare così pesantemente sull’ambiente? Rispondere a questo interrogativo è una sfida che gli artisti non possono più posticipare.
Laura Cocciolillo
È una storica dell’arte specializzata in arte e nuove tecnologie e in estetica dei nuovi media. Dal 2019 collabora con Artribune (di cui attualmente si occupa dei contenuti di nuovi media). Nel 2020 fonda Chiasmo Magazine, rivista indipendente e autofinanziata di Arte Contemporanea. Dal 2023 è web editor per Sky Arte, e dallo stesso anno si prende cura, per art-frame, della rubrica “New Media”, dedicata all’arte digitale.