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Copyright su corpo e voce: la rivoluzione danese contro i deepfake

Copyright su corpo e voce: la rivoluzione danese contro i deepfake

La Danimarca ha presentato una proposta di legge che potrebbe cambiare per sempre il modo in cui affrontiamo la questione dei deepfake. Il testo, sostenuto da un’ampia maggioranza del Folketing – il parlamento danese – prevede che corpo e voce vengano tutelati dal diritto d’autore al pari di un’opera artistica. In altre parole, l’identità fisica e vocale di ciascun individuo diventerebbe un bene intellettuale di cui la persona è titolare esclusiva. Se approvata, la norma permetterebbe di ottenere la rimozione immediata dei contenuti non autorizzati e di chiedere risarcimenti, senza dover dimostrare un danno specifico. “Ognuno ha diritto al controllo del proprio volto e della propria voce”, ha dichiarato il ministro della Cultura Jakob Engel-Schmidt, sintetizzando la portata della riforma.

Il modello danese rappresenta una novità rivoluzionaria. Finora la protezione delle persone online si è fondata su norme penali, diffamazione e privacy, strumenti spesso lenti e inefficaci a fronte della velocità del digitale. Con questa proposta l’identità diventa oggetto di copyright, e chi la sfrutta senza consenso compie una violazione immediatamente sanzionabile. Le piattaforme digitali avrebbero obblighi precisi di rimozione rapida e, in caso di inerzia, rischierebbero multe pesanti. Sono previste eccezioni per satira e parodia, in modo da non soffocare la libertà di espressione, ma la logica di fondo è chiara: fermare sul nascere la proliferazione di contenuti manipolati, soprattutto di natura sessuale o politica.

I recenti fatti di cronaca italiana mostrano quanto un simile strumento sia necessario. Il caso Phica.net, ad esempio, ha sconvolto l’opinione pubblica: migliaia di immagini intime rubate o manipolate, spesso provenienti da social network, venivano pubblicate senza consenso. In alcuni casi le vittime erano costrette a pagare per ottenerne la cancellazione. Oltre a questo, ha fatto molto rumore la denuncia dell’esistenza del gruppo Facebook “Mia Moglie”, con oltre 30mila iscritti, dove venivano condivise foto private delle partner senza consenso, corredate da commenti volgari e sessisti. Questi episodi hanno dimostrato quanto gli strumenti attuali siano insufficienti: la diffusione di immagini avviene in pochi minuti, mentre la giustizia arriva dopo mesi o anni, quando i danni sono ormai irreparabili.

Immagine via Google Creative Commons.

Se la proposta danese dovesse trasformarsi in legge, potrebbe diventare un modello per tutta l’Unione europea. Tuttavia non mancano i rischi. Primo: l’applicazione extraterritoriale. Molti deepfake nascono e circolano fuori dalla Danimarca, ed è difficile immaginare che piattaforme globali rispettino norme nazionali senza una cornice europea comune. Secondo: la definizione di cosa costituisca una violazione. Dove finisce il legittimo uso creativo o giornalistico e dove inizia l’abuso? Senza criteri chiari, il rischio è un aumento dei contenziosi. Terzo: il conflitto con la libertà di informazione e artistica. Se da un lato la legge tutela le vittime, dall’altro potrebbe essere invocata per rimuovere contenuti scomodi, satire politiche o ricostruzioni giornalistiche. Quarto: i costi tecnici per le piattaforme, che dovranno dotarsi di sistemi di monitoraggio e rimozione avanzati, con il rischio di automatismi che finiscono per censurare troppo e in modo indiscriminato. Infine, la convivenza con strumenti già esistenti come il GDPR e il Digital Services Act rischia di creare sovrapposizioni e contraddizioni normative.

Nonostante queste difficoltà, il valore simbolico e politico della proposta è indiscutibile: trasformare la dignità corporea e vocale in un diritto d’autore, rendendo ciascuno autore e custode della propria identità. In Italia e in Europa i casi recenti dimostrano che la questione non è più rinviabile. La sfida sarà armonizzare questa nuova concezione con le libertà fondamentali e con il contesto globale. Se riuscirà nel suo intento, la Danimarca non avrà solo introdotto una legge, ma avrà lanciato un messaggio universale: nell’era dell’intelligenza artificiale, l’essere umano non può essere ridotto a uno strumento manipolabile, ma resta titolare unico e insindacabile della propria immagine e della propria voce.

Alessandro Mancini

Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.