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Democrazia sorvegliata: il volto digitale dell’Europa

Democrazia sorvegliata: il volto digitale dell’Europa

L’Europa sta ridefinendo il concetto di frontiera. Non più linee su una mappa, ma database di identità, dove il corpo diventa documento e il volto una password. Con l’introduzione dell’Entry/Exit System (EES) – prevista nel 2026 dopo vari rinvii – l’Unione Europea istituirà un enorme archivio biometrico che registrerà volto, impronte digitali, dati anagrafici e tempi di ingresso e uscita di ogni cittadino non UE.

Ufficialmente, l’obiettivo è “velocizzare i controlli” e “rafforzare la sicurezza”, ma nella pratica questa proposta si trasforma in qualcos’altro: la sorveglianza diventa automatizzata. I dati di chi entra e chi esce dallo spazio Schengen saranno incrociati con altri sistemi già esistenti, come Eurodac o SIS II, creando una rete di monitoraggio senza precedenti.

E l’UE non è sola: sempre più democrazie liberali adottano gli stessi strumenti dei regimi autoritari, giustificandoli con la promessa di efficienza e sicurezza. Dalle telecamere di riconoscimento facciale ormai permanenti in molte città inglesi alle app usate per tracciare i manifestanti in India o negli Stati Uniti, il confine tra tutela e controllo si fa sempre più labile. L’Europa, che si presenta come garante dei diritti digitali, sembra invece voler costruire un’infrastruttura permanente di sorveglianza invisibile. Invisibile perché normalizzata, incorporata nei gesti quotidiani: passare un controllo biometrico, sbloccare un telefono, attraversare un gate automatico.

L’EES è solo un tassello di un mosaico più ampio che comprende anche il progetto ETIAS, il sistema di autorizzazione elettronica per i viaggiatori extra-UE, e le nuove banche dati interoperabili gestite dall’agenzia eu-LISA. Ogni sistema dialogherà con gli altri, creando un ecosistema digitale in cui il cittadino o il viaggiatore sarà riconoscibile in ogni passaggio. Una “identità algoritmica” che non si limita più a dire chi sei, ma anche dove sei stato, con chi hai viaggiato, cosa hai fatto.

Immagine Via Google Creative Commons.

L’Unione Europea non si accontenta di digitalizzare i corpi, ha anche tentato di digitalizzare le conversazioni. Il progetto di regolamento ribattezzato dai suoi critici “Chat Control” – proposto nel 2022 dalla Commissione europea per contrastare l’abuso online sui minori – prevedeva la possibilità di ispezionare preventivamente tutti i messaggi, immagini e video inviati tramite servizi di messaggistica, persino quelli protetti da crittografia end-to-end.
Sulla carta, un provvedimento a tutela dei più vulnerabili; nella sostanza, un colossale sistema di sorveglianza preventiva. L’idea che ogni messaggio privato potesse essere analizzato da un algoritmo ha sollevato però critiche durissime da parte di attivisti, ricercatori e organizzazioni per la privacy digitale. Molti lo hanno definito “la fine della crittografia”, e con questa della libertà di comunicare in modo sicuro.

Dopo mesi di scontro politico e divisioni tra gli Stati membri, la Danimarca – che attualmente detiene la presidenza del Consiglio dell’UE fino alla fine dell’anno – ha infine ritirato il proprio sostegno alla proposta, decretandone di fatto l’accantonamento. Il governo danese, che inizialmente aveva sostenuto l’approvazione del regolamento, ha riconosciuto l’impossibilità di trovare un consenso politico ampio, optando per una versione più leggera e volontaria della normativa.

Tra il volto scannerizzato in aeroporto e la chat analizzata da un algoritmo, l’Europa disegna così il suo nuovo volto digitale: un’architettura del sospetto costruita in nome della prevenzione.

Non si tratta solo di tecnologia, ma di una trasformazione del patto sociale. Le democrazie europee si trovano a gestire una contraddizione di fondo: difendere la libertà attraverso strumenti che la limitano. È un equilibrio fragile. Il rischio non è tanto l’abuso immediato, quanto la progressiva abitudine al controllo. La sorveglianza non ha più bisogno di essere imposta quando diventa parte dell’esperienza quotidiana. Il vero nodo politico dell’Europa digitale non è quindi solo cosa viene controllato, ma quanto siamo disposti ad accettare in nome della sicurezza. Perché ogni frontiera che sposta un po’ più in là il confine tra sicurezza e libertà, tra efficienza e diritti, ridefinisce anche ciò che significa vivere – e pensare – dentro una democrazia.

Alessandro Mancini

Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.