Di recente ho saputo di essere neurodivergente. Molti aspetti che da ragazzo mi facevano etichettare come quello “strano”, “pazzo” o talvolta persino “geniale” si sono agglutinati in un cluster di comportamenti preciso, dovuto dalla struttura atipica del mio cervello – e capirlo è stato un inutile sollievo.
Questa scoperta è stata preceduta da un’altra, ovvero che frequento molto spesso (se non quasi esclusivamente) persone neurodivergenti; tra di esse, molte studiano o utilizzano intensivamente le intelligenze artificiali generative.
Per quanto il rischio di scambiare correlazione e causa sia sempre dietro l’angolo, non sono riuscito a sedare un sospetto: che queste tecnologie siano particolarmente utili a chi ha una forma mentale diversa? Da tempo avevo notato che per me erano tecnologie abilitanti. Per fare un esempio, quando ero ragazzo, sulla mia scelta di non intentare la carriera accademica pesò una caratteristica: sviluppare idee o analisi mi riesce con estrema facilità, ma rifinire i dettagli come note e bibliografie mi affatica moltissimo. Chi non è ADHD come pensa spesso che sia una posa, eppure non è così; quando scrissi la tesi ricordo che il testo lo buttai giù in poche settimane, senza sforzo, mentre passai molto più tempo ad assemblare e correggere bibliografia e le note. In generale, una volta che ho creato il contenuto, i dettagli mi annoiano da morire. Non è pigrizia, come spesso mi veniva detto, ma il modo in cui funziona il mio cervello. Non riesco a fare le cose che mi annoiano e non riesco a smettere di fare quelle che mi appassionano. Sembra una sciocchezza, ma questa caratteristica in passato ha spesso ostacolato il mio lavoro. E se dico “in passato” è perché con un Large Language Model le bibliografie e i dettagli noiosi non sono più un problema.
“Ma le AI sbagliano! Inventano libri!” mi dirà il professore di turno; sì, è vero. Con un uso consapevole però questi errori sono facilmente rimediabili (basta googlare o far googlare le AI stesse) e il risparmio di tempo resta notevole. E anche se sbagliano… bè, lo fanno comunque meno di me.
Questo è solo un esempio di come questa nuova tecnologia mi abbia dato un sollievo direi farmacologico in moltissimi compiti quotidiani, lavorativi e non. Chiedermi se non fossi il solo è stato immediato. Ne ho parlato con Alberto Puliafito e Mage De Baggis (che rientrano nella categoria amici neurodivergenti che lavorano con AI) e hanno confermato la mia impressione. Anche la mia compagna, che è autistica, mi ha detto la stessa cosa, anche se i vantaggi che riscontra sono altri rispetto ai miei. Insomma, gli aneddoti tra amici e colleghi si sono accumulati e anche se ho conosciuto delle persone neurodivergenti che odiano le AI (sebbene spesso senza mai averle davvero usate) valeva la pena di indagare. Puliafito ne aveva scritto qua, dandomi lo stimolo per portare avanti l’indagine di un passo. Cosa dicono le ricerche? In ambito educativo sono varie, ma quel che mi interessava capire non è se sono utili per l’insegnamento ai neurodivergenti (lo sono) ma come e se questa comunità le utilizza in ambito privato e professionale.

Ho fatto dunque una ricerca – o meglio varie deepsearch – e ho trovato alcuni risultati interessanti. Pare che molti individui neurodivergenti riferiscano che i LLM offrono un ambiente di comunicazione più confortevole e privo di giudizio rispetto alle interazioni interpersonali con i neurotipici. In particolare, le persone nello spettro autistico come la mia compagna spesso trovano più semplice dialogare con un chatbot che con un umano, perché la conversazione mediata dall’AI elimina molte delle ambiguità dei segnali sociali e offre risposte più dirette. Un recente studio sperimentale della Carnegie Mellon University ha confrontato le reazioni di adulti autistici quando chiedevano consigli a due interlocutori diversi: un chatbot basato su GPT-4 e un consulente umano che i partecipanti credevano fosse un secondo chatbot. I partecipanti hanno preferito in modo schiacciante il vero chatbot rispetto al consulente umano camuffato da AI (Jang, 2024). Non perché l’AI fornisse consigli migliori, ma per lo stile di interazione: il chatbot rispondeva in modo rapido, esplicito e schematico, ad esempio con elenchi puntati e indicazioni chiare, mentre il consulente umano tendeva a fare domande di approfondimento e richiedere chiarimenti.
Questa preferenza per un tono diretto e non giudicante emerge anche da discussioni online in alcune comunità neurodivergenti. Un’analisi qualitativa su larga scala (61 comunità Reddit neurodivergenti) evidenzia che molti utenti autistici apprezzano ChatGPT perché è in grado di “offrire consigli o conforto senza giudizio e invidia” (Carik et al 2024). Avere un partner conversazionale sempre disponibile e privo di bias sociali aiuta inoltre queste persone a comunicare con meno ansia. Ad esempio, una studentessa universitaria con autismo ha raccontato di usare ChatGPT per esercitarsi in conversazioni difficili (simulando scenari di dialogo con coinquilini) e che questo le dà un senso di autonomia: può provare cosa dire senza dover coinvolgere subito altre persone o dipendere dai genitori (Carik et al 2024). Altri riferiscono di scrivere un messaggio o un’email delicata e farlo prima “revisionare” all’AI, chiedendo se il tono è appropriato. In breve, l’AI generativa può offrire alle persone neurodivergenti un canale di comunicazione privo di pressioni sociali, nel quale ottenere feedback o consigli in modo neutrale e prevedibile. Ciò risulta particolarmente utile per affrontare le sfide pragmatiche (tono di voce, convenzioni sociali, fraintendimenti) che spesso rendono stressanti le interazioni con interlocutori neurotipici (Richter 2025).
Oltre che nella comunicazione, le AI generative vengono impiegate da persone neurodivergenti anche come strumenti di organizzazione, brainstorming e produttività, in particolare da chi ha profili attentivi come l’ADHD – che appunto è il mio caso.

Gli individui con ADHD spesso faticano con la gestione del tempo, la strutturazione dei compiti e il mantenimento dell’attenzione; qui l’AI può agire da “amplificatore cognitivo”. Una ricerca del 2025 sulle comunità online mostra che gli utenti con ADHD utilizzano largamente i chatbot AI come strumenti di produttività: circa il 26% delle discussioni analizzate nei forum ADHD riguardava proprio l’uso di LLM per organizzare attività, migliorare la concentrazione o ottimizzare il flusso di lavoro (Carik et al 2024). Anche in ambito accademico, studenti universitari con ADHD, dislessia o altri DSA stanno adottando ChatGPT e strumenti affini per aiutarsi nelle attività di scrittura: un sondaggio su 124 studenti con disabilità (in gran parte con difficoltà di scrittura dovute a ADHD, dislessia, disprassia, autismo) ha trovato che i tool generativi più usati da questi studenti erano chatbot (specialmente ChatGPT) e applicativi di riscrittura del testo (Zhao et al 2025). Li impiegano in ogni fase della redazione – dall’abbozzo di idee, alla generazione di paragrafi, fino alla revisione grammaticale – a conferma che questi strumenti possono colmare alcune lacune esecutive e di attenzione durante la scrittura accademica.
Ovviamente l’uso di AI non è esente da criticità, percepite dagli stessi utenti neurodivergenti. Nel sondaggio sopracitato, ad esempio, molti studenti con ADHD o DSA riconoscevano i benefici pratici di ChatGPT ma esprimevano preoccupazioni riguardo alla possibile inaccuratezza delle risposte e ai rischi per l’integrità accademica (plagio involontario, eccessiva dipendenza dallo strumento) (Zhao et al 2025). Dai dati qualitativi emerge anche una certa frustrazione legata all’interazione con l’AI: utenti con ADHD riferiscono difficoltà nel perfezionare i prompt e “far capire all’LLM quello che intendo davvero”. Infatti, uno studio riporta che oltre la metà delle volte gli utenti ADHD lamentano prompting frustrante, e percepiscono bias “neurotipici” nelle risposte AI – ad esempio modelli che insistono su spiegazioni prolisse o poco adatte allo stile di elaborazione diretto che preferiscono (Carik et al 2024). Questo indica che, sul versante usabilità, c’è spazio per migliorare l’adattamento delle AI alle esigenze cognitive di questi utenti. In generale, comunque, gli assistenti generativi vengono di media considerati degli alleati per gestire le attività quotidiane.
Siamo ancora agli inizi e altre ricerche arriveranno, ma pare che la mia impressione non fosse del tutto campata in aria. Da un punto di vista personale, spiega anche la mia frustrazione quando qualcuno lamenta dei “bei tempi andati” prima delle AI e di come queste ultime rovineranno la nostra creatività. Per quel che mi riguarda, non ho dubbio che mi siano d’aiuto e che potenziano la mia creatività, anche solo sollevandomi dai compiti noiosi. Mi perdoni chi vorrebbe tornare a carta e penna, ma i “bei tempi” andati in cui un minuto su una bibliografia mi pesava come un’ora non li rimpiango affatto.
Carik, Buse, Kaike Ping, Xiaohan Ding, and Eugenia H. Rho. 2024. “Exploring Large Language Models Through a Neurodivergent Lens: Use, Challenges, Community-Driven Workarounds, and Concerns.” arXiv (preprint), October 8, 2024. https://arxiv.org/abs/2410.06336.
Jang, JiWoong (Joon), Sanika Moharana, Patrick Carrington, and Andrew Begel. 2024. “‘It’s the Only Thing I Can Trust’: Envisioning Large Language Model Use by Autistic Workers for Communication Assistance.” In Proceedings of the CHI Conference on Human Factors in Computing Systems (CHI ’24), May 11–16, 2024, Honolulu, HI. New York: ACM. https://doi.org/10.1145/3613904.3642894.
Richter, Hani. 2025. “‘It’s the Most Empathetic Voice in My Life’: How AI Is Transforming the Lives of Neurodivergent People.” Reuters, July 26, 2025. https://www.reuters.com/lifestyle/its-most-empathetic-voice-my-life-how-ai-is-transforming-lives-neurodivergent-2025-07-26/. Reuters
Zhao, X., Cox, A., & Xuanning, C. (2025). The Use of Generative AI by Students with Disabilities in Higher Education. The Internet and Higher Education, 66, 101014. https://doi.org/10.1016/j.iheduc.2025.101014
Francesco D’Isa, di formazione filosofo e artista digitale, ha esposto internazionalmente in gallerie e centri d’arte contemporanea. Dopo l’esordio con la graphic novel I. (Nottetempo, 2011), ha pubblicato saggi e romanzi per Hoepli, effequ, Tunué e Newton Compton. Il suo ultimo romanzo è La Stanza di Therese (Tunué, 2017), mentre per Edizioni Tlon è uscito il suo saggio filosofico L’assurda evidenza (2022). Le sue ultime pubblicazionio sono la graphic novel Sunyata per Eris edizioni (2023) e il saggio La rivoluzione algoritmica delle immagini per Sossella editore (2024). Direttore editoriale della rivista culturale L’Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste, italiane ed estere. È docente di Filosofia presso l’istituto Lorenzo de’ Medici (Firenze) e di Illustrazione e Tecniche plastiche contemporanee presso LABA (Brescia)?.