La chiusura del Plastic di Milano sembra inserirsi nel quadro di una crisi delle discoteche europee che da anni procede in modo carsico e che, fino a poco tempo fa, sembrava non aver colpito l’Italia significativamente. I primi segnali d’allarme erano arrivati soprattutto dal Regno Unito e da Berlino. Proprio la capitale tedesca sta affrontando quello che i media locali hanno definito Clubsterben, la “morte dei club”: negli ultimi tre anni il fenomeno ha coinvolto persino luoghi simbolo della musica elettronica mondiale come il Watergate e il Renate, costretti a chiudere per ragioni analoghe a quelle che hanno già falciato circa metà dei club di Londra e dintorni. Infatti il rapporto del febbraio 2024 redatto dalla Night Time Industries Association (NTIA), tra le varie cose che affronta, rivela che dal 2020 al 2024 nel Regno Unito hanno chiuso i battenti circa 400 club, collegando il collasso del settore a una combinazione di fattori convergenti: l’aumento vertiginoso dei costi di gestione (affitti, energia, personale), la contrazione generale del potere d’acquisto, il crollo delle uscite notturne durante la settimana e un cambiamento generazionale nelle modalità di fruizione della notte, con la Gen Z che, a differenza dei predecessori, quasi non tocca alcol.
Per quanto riguarda il Plastic, non esistono dichiarazioni ufficiali sulle cause della chiusura. Si parla però di un calo dell’affluenza e di tensioni con il vicinato dell’ultima sede, elementi che avrebbero reso sempre più difficile proseguire l’attività. Sul piano emotivo la scomparsa di un luogo così importante ci colpisce, ma dal punto di vista dei numeri non è affatto un’eccezione: la chiusura del Plastic si inserisce in un trend di lungo periodo. Dal 2010 al 2023, infatti, in Italia sono scomparse 2.698 discoteche, sale da ballo e nightclub, mentre ne sono nate solo 630: il saldo negativo di 2.068 locali rende statisticamente plausibile anche la fine di uno spazio storico come quello.
Il Rapporto SIAE 2024 descrive un settore in trasformazione più profonda di quanto suggeriscano i soli dati sulle chiusure. Secondo il documento, la discoteca tradizionale sta progressivamente perdendo centralità perché le abitudini del pubblico giovane sono cambiate in modo significativo. Oltre a bere poco, la Gen Z tende a frequentare meno i locali stabili e preferisce forme di socialità più fluide, meno legate alla routine settimanale e più orientate all’evento eccezionale: festival, format ibridi, serate itineranti.

Il report sottolinea inoltre la crescita di fenomeni difficilmente intercettabili dalle statistiche ufficiali, come i free party, gli eventi autogestiti e i locali abusivi, che intercettano un pubblico in cerca di esperienze meno codificate, più economiche e percepite come più autentiche. È un ecosistema parallelo che non sostituisce del tutto le discoteche, ma ne erode progressivamente il ruolo, sottraendo pubblico soprattutto nelle fasce più giovani.
E in più, come raccontano molti lavoratori della notte, c’è un fattore spesso ignorato dalle analisi ufficiali: le app di dating. Tinder, Grindr e le loro derivate hanno inciso profondamente sulle dinamiche dell’uscire, riducendo la funzione sociale del club come spazio di incontro. Per conoscere qualcuno non serve più andare a ballare, né spendere soldi in drink o biglietti d’ingresso: si può comodamente rimanere a casa scorrendo qualche profilo. Un cambiamento tanto silenzioso quanto radicale, che ha sottratto alle discoteche uno dei loro ruoli storici, contribuendo a svuotare ulteriormente un modello già in affanno.
Paradossalmente, questa crisi si manifesta proprio mentre la cultura del clubbing e la musica elettronica da ballo sono entrate con forza nel mainstream, influenzando estetiche pop, immaginari e linguaggi sonori. L’esempio più evidente è il caso di Charli XCX: nell’estate 2024, con la sua brat summer, ha riportato l’universo dei club al centro del discorso pop, sia attraverso riferimenti espliciti nei testi, sia con scelte di produzione che richiamano direttamente le sonorità della notte. Tra le iniziative più emblematiche della campagna promozionale c’è stato anche un DJ set per Boiler Room, che ha contribuito a trasformare il contesto del clubbing in un contenuto culturale e mediatico di grande visibilità. E anche la cantante spagnola Rosalía non è rimasta immune da questa influenza ed ha chiamato il suo ultimo singolo Berghain, come il celebre ed esclusivo locale berlinese.
Certo, né Charli XCX né Rosalía hanno “inventato” questo immaginario: entrambe, però, hanno saputo intercettare un interesse crescente del pubblico verso il mondo del clubbing, interesse amplificato dai social, soprattutto TikTok e Instagram, che hanno trasformato il club in un vero e proprio modello estetico con outfit codificati, micro-rituali, pose e frame ricorrenti (ne avevo parlato qui).

All’interno di questo processo, riferimenti come Boiler Room o il Berghain circolano come simboli visivi ormai riconoscibili anche fuori dai contesti da cui provengono. Nello stesso tempo, però, questi luoghi e piattaforme sono oggetto di discussione in una parte del panorama “underground”, che ha sollevato alcune perplessità: nel caso di Boiler Room, sono emerse critiche legate alla struttura proprietaria della società e ai rapporti finanziari con Israele del fondo che la controlla; nel caso del Berghain, è stata contestata la gestione, percepita come poco trasparente, della cancellazione del live del DJ franco-libanese Arabian Panther. Segnali che mostrano come l’aura alternativa di certi simboli globali del clubbing sia tutt’altro che incontestata, proprio mentre vengono assorbiti e rilanciati dal mainstream, e che dimostra in ogni caso che il discorso attorno al mondo dei club è tutt’altro che morto.
In definitiva, in Europa il club come luogo fisico attraversa una crisi evidente, spinto ai margini da dinamiche economiche sfavorevoli, nuove abitudini sociali e un ecosistema notturno sempre più frammentato. Ma la cultura del clubbing, lungi dallo scomparire, sembra essersi spostata nelle estetiche pop, nei social coi suoi linguaggi codificati, nei festival e negli eventi occasionali che sostituiscono la ritualità settimanale delle discoteche storiche. È un’esperienza della discoteca che è parzialmente smaterializzata, sopravvissuta sotto forma di simboli che continuano a circolare con forza nell’immaginario contemporaneo.
Pierluigi Fantozzi, 1995, è un musicista. Si è laureato all’Accademia Nazionale del Jazz di Siena, conseguendo il titolo magistrale al Conservatorio di Bologna. Clarinettista, ha militato in formazioni jazz, ma ha coltivato un interesse nei confronti della musica elettronica, collaborando anche con Tempo Reale. Dal 2023, entra a far parte del team di Controradio, per cui ha realizzato interviste a importanti figure della scena musicale internazionale. In veste di speaker radiofonico, è alla guida del suo programma “Passabanda”.