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Spotify, è l’inizio della fine?

Spotify, è l’inizio della fine?

 Non è un periodo facile per Spotify. Si fa per dire: la piattaforma svedese mantiene ancora il primato mondiale per numero di stream. Ciononostante, iniziano a intravedersi alcune crepe in quello che, per oltre un decennio, è stato quasi un monopolio.

Riavvolgiamo il nastro di questa crisi. A giugno è circolata la notizia dell’investimento di 600 milioni di dollari da parte di Daniel Ek, fondatore e CEO di Spotify, in una startup specializzata nella produzione di droni militari. La reazione è stata immediata: un’ondata di indignazione ha attraversato il mondo musicale, spingendo diversi artisti, tra cui i Massive Attack, a rimuovere il proprio catalogo dalla piattaforma. Alcuni altri artisti hanno abbandonato la piattaforma, come gli australiani (e prolificissimi) King Gizzard and The Lizard Wizard; in Italia in pochi si sono esposti sulla questione: Auroro Borealo che ha tolto tutte le sue canzoni, fatta eccezione per una traccia in cui spiega le sue motivazioni, e Piero Pelù che ha partecipato all’ondata di sdegno ma si è detto impossibilitato a ri??muovere la sua presenza sulla piattaforma in quanto non è proprietario dei suoi master. Anche molti utenti hanno reagito, annunciando la cancellazione del proprio abbonamento premium.

A questo bisogna aggiungere anche un’altra iniziativa che non riguarda solo Spotify, e che ha preso piede fra gli artisti internazionali nelle ultime settimane, No Music For Genocide, attraverso la quale oltre mille fra artisti ed etichette hanno reso inaccessibile in Israele tutta la loro musica su qualunque piattaforma. I musicisti coinvolti provengono dai generi e dagli ambienti più disparati: dai BadBadNotGood, gruppo jazz canadese, agli australiani Amyl and the Sniffers. E poi i Primal Scream, i Paramore, Fontaines D.C. assieme a molti altri ancora, a dimostrazione che gli artisti del nostro tempo danno un grande valore all’etica e al peso politico delle proprie scelte.

Crisi dunque per Spotify? Non proprio. Nonostante il titolo abbia subito un brusco calo in borsa lo scorso luglio, le prospettive di crescita restano ottimistiche: da giugno a oggi, la piattaforma svedese avrebbe guadagnato oltre 14 milioni di nuovi abbonati premium.

Nel frattempo, l’app ha introdotto alcuni piccoli cambiamenti che qualcuno interpreta come risposta al boicottaggio: la reintroduzione della chat tra utenti, rimossa anni fa e di cui avevo già parlato qui, e la possibilità di riprodurre immediatamente un brano anche senza abbonamento premium. È difficile dire se queste novità siano davvero un segnale che le pressioni esterne stiano avendo effetto sulle casse di Spotify.

Robert Del Naja dei Massive Attack. Immagine via Google Creative Commons.

La realtà dei fatti è che al momento non si registrano importanti migrazioni di utenti verso altre piattaforme di streaming.
Tidal, ad esempio, continua a occupare una nicchia piuttosto ristretta del mercato. Secondo le stime più recenti, conta circa sette milioni di utenti globali, con una presenza significativa solo in alcuni Paesi come gli Stati Uniti e una quota di mercato inferiore all’un per cento. Pur mantenendo una reputazione positiva per la qualità audio e per il modello di redistribuzione più favorevole agli artisti, al momento non sembra star beneficiando in modo tangibile della crisi reputazionale di Spotify: la crescita è lenta, e la capacità di attrarre nuovi abbonati rimane limitata.

Discorso diverso, ma altrettanto marginale in termini di impatto complessivo, per SoundCloud. La piattaforma tedesca conserva una base ampia di utenti, circa 180 milioni, ma la maggior parte di essi non utilizza il servizio in alternativa a Spotify, bensì in parallelo. SoundCloud resta infatti uno spazio privilegiato per la circolazione di musica indipendente e autoprodotta, più vicino a un archivio comunitario che a un servizio di streaming su abbonamento. Anche qui, dunque, non si può parlare di una fuga di massa: la sua funzione nel sistema dello streaming è complementare, non sostitutiva.

E Nina Protocol? Avevo parlato qui di questa piattaforma musicale costruita su blockchain che permette di pubblicare, ascoltare e acquistare musica direttamente dagli autori, senza intermediari. Nata con l’idea di restituire controllo e ricavi a chi crea, funziona come un negozio digitale in cui artisti, label e ascoltatori possono interagire liberamente, con tutte le transazioni registrate on-chain. Secondo Rolling Stone, rappresenta una sorta di “Bandcamp per la generazione di Discord”, e sta sperimentando nuovi modelli di redistribuzione come il “Community Revenue Share”. Non ci sono però dati che mostrino una crescita misurabile di Nina legata alla crisi reputazionale di Spotify: alcune partnership recenti indicano vitalità, ma il progetto resta di dimensioni ancora ridotte e lontano da un impatto macroscopico sul mercato dello streaming.

In sintesi, mentre il dibattito pubblico intorno a Spotify si fa sempre più acceso, il suo dominio economico e tecnologico non mostra ancora crepe strutturali. La crisi, se non è economica, è certamente reputazionale. Gli investimenti di Ek si sommano a un clima di crescente malcontento: da anni molti artisti accusano la piattaforma di non remunerare adeguatamente chi produce la musica da cui trae profitto. Solo pochi giorni fa è arrivato l’annuncio delle dimissioni di Daniel Ek dal suo incarico di amministratore delegato, dopo quasi vent’anni alla guida dell’azienda. È ancora prematuro avanzare qualsivoglia ipotesi sul perché, ma intanto qualcuno si chiede: per Spotify, è l’inizio della fine?

Pierluigi Fantozzi

Pierluigi Fantozzi, 1995, è un musicista. Si è laureato all’Accademia Nazionale del Jazz di Siena, conseguendo il titolo magistrale al Conservatorio di Bologna. Clarinettista, ha militato in formazioni jazz, ma ha coltivato un interesse nei confronti della musica elettronica, collaborando anche con Tempo Reale. Dal 2023, entra a far parte del team di Controradio, per cui ha realizzato interviste a importanti figure della scena musicale internazionale. In veste di speaker radiofonico, è alla guida del suo programma “Passabanda”.