OUT OF BOUNDS

Fotografare Death Stranding durante una pandemia globale

a cura di Matteo Lupetti
Fotografare Death Stranding durante una pandemia globale

A inizio 2020 l’artista belga Benny Van den Meulengracht-Vrancx usò Death Stranding (Kojima Productions, Sony Interactive Entertainment, 2019) per realizzare le illustrazioni della parte online della mostra sul cambiamento climatico Point of No Return da lui curata per il Centro Culturale di Ekeren (Anversa). “Penso che [Death Stranding] più che altro dipinga l’immagine di un mondo dopo il punto di non ritorno” ci scrive l’artista. Ma quando iniziò la pandemia, il nostro mondo divenne ancora più simile a quello del videogioco, in cui le persone vivono sottoterra connesse grazie a fattorini e internet. Quasi a sottolineare questo stretto legame, l’introduzione della modalità foto fu promossa insieme al fotografo britannico Pete Rowbottom, che in un video spiegò come applicare al videogioco i principi della fotografia tradizionale.

“Era inquietante giocare a Death Stranding durante la pandemia” dice il fotografo italo-svizzero Pascal Greco, che in quei mesi sarebbe dovuto partire per l’Islanda. Quando il viaggio fu cancellato, Greco decise di realizzare i suoi scatti negli spazi virtuali di Death Stranding, ispirati al territorio islandese. Il percorso intrapreso con questo lavoro, confluito nel libro Place(s) (2021), è proseguito nel machinima Place(s) Space(s) (2025), che inizia con lente riprese di videogiochi fotorealistici, tra cui Death Stranding. “Volevo che le persone che vedevano il film senza sapere di cosa si trattasse credessero davvero che le immagini fossero reali” afferma Greco. 

Fino a che punto si equivalgono fisico e virtuale? Rowbottom ci spiega via email che, per quanto riguarda la fotografia, “nella vita reale serve maggior pianificazione, e bisogna adattarsi a condizioni sempre mutevoli, mentre nei mondi videoludici puoi davvero prenderti tutto il tempo che vuoi”. Nella seconda parte di Place(s) Space(s), gli spazi virtuali iniziano a disfarsi, a glitchare. Non solo svelano l’illusione del trompe-l’œi, ma reclamano una loro propria dignità.

MATTEO LUPETTI

Matteo Lupetti si occupa di critica di arte, arte digitale e videogioco su testate come Artribune e Il Manifesto e all’estero. Ha fatto parte della redazione della rivista radicale menelique e della direzione artistica del festival di narrazioni di realtà Cretecon. Il suo primo libro è “UDO. Guida ai videogiochi nell’Antropocene” (Nuove Sido, Genova, 2023), rilettura del medium videoludico nell’epoca del cambiamento climatico e all’interno dei nuovi percorsi multisciplinari che mettono in primo piano il non umano e la sua agency.