I fantasmi del fascismo in The Legend of Zelda
di Matteo Lupetti
“L’incarnazione della mia rabbia e del mio rancore vi inseguirà eternamente, in un oceano di tenebre e sangue!” dice il re dei demoni Mortipher nel finale di The Legend of Zelda: Skyward Sword di Nintendo (2011), attualmente il primo videogioco nel complesso ordine cronologico interno della serie fantasy The Legend of Zelda (1986-in corso). È la maledizione che dà inizio al ciclo di violenza e distruzione della saga. In The Legend of Zelda l’incarnazione dell’odio di Mortipher, Ganondorf, si scontra in varie epoche lungo migliaia di anni contro le reincarnazioni del protagonista Link e contro le varie principesse Zelda, discendenti di una prima Zelda a sua volta reincarnazione della dea Hylia, a cui tre divinità creatrici hanno affidato il regno di Hyrule. E, soprattutto, a cui hanno affidato il loro potere racchiuso nei tre frammenti della magica Triforza di cui prima Mortipher e poi Ganondorf cercano di impossessarsi.
Già il primo The Legend of Zelda (1986) ci abitua a esplorare una Hyrule distrutta da Ganon (forma demoniaca di Ganondorf), una terra dove non esistono più città, dove le persone si rintanano in grotte sotterranee mentre mostri si aggirano in superficie. Anche quando Link riesce a salvare il regno, dopo quasi quarant’anni di episodi della serie sappiamo ormai che la vittoria sarà comunque solo momentanea e che presto questo mondo verrà nuovamente devastato, a volte quasi immediatamente dopo gli eventi del gioco precedente come accade in The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom del 2023, seguito di The Legend of Zelda: Breath of the Wild del 2017. Come notato da Gerry Canavan (“The Legend of Zelda in the Anthropocene”, in English Faculty Research and Publications, 2019) Hyrule è costretta in questo ciclo prima di tutto dalle necessità commerciali del ciclo di produzione e consumo capitalista: la multinazionale giapponese Nintendo deve continuamente mettere il mondo del gioco in pericolo per poter continuamente sviluppare nuovi episodi in cui muovere un cast di personaggi sempre riconoscibili. Ma questo incessante ritorno del passato suggerisce anche una lettura secondo l’hantologie.
Il termine hantologie è un portmanteau di hanté (posseduto, infestato, ossessionato) e di ontologie (ontologia) coniato dal filosofo francese Jacques Derrida in Spectres de Marx (éditions Galilée, 1993, edizione italiana Spettri di Marx, Raffaello Cortina Editore, 1996), saggio inizialmente nato come una serie di lezioni alla University of California. Per Derrida, dopo la caduta dell’Unione Sovietica e dopo quella che Francis Fukuyama definì come fine della storia e l’apparente vittoria definitiva del capitalismo, nel mondo continua ad aggirarsi lo spettro di Karl Marx, come lo spettro del comunismo si aggirava per l’Europa nell’incipit del Manifesto del partito comunista di Marx e Friedrich Engels (1848). E questo spettro continua a svelare la crudeltà del capitalismo, e così a ispirare futuri alternativi. L’hantologie, solitamente scritta all’inglese come hauntology, è allora un’anti-ontologia che studia non ciò che è ma ciò che non è, o meglio ciò che contemporaneamente è e non è, come gli spettri. Ciò che non è più o ciò che non è ancora, e che eppure ha effetto sul presente, lo infesta. L’hantologie è un paradigma di interpretazione della realtà che si concentra su ciò che viene lasciato fuori, una ontologia del rimosso che ritorna sotto forma di spettro, come coazione a ripetere il trauma represso.
“Ci sono anche ragioni di design per cui i videogiochi forse più di altri media invitano a un pensiero hauntologico” ci ha detto Stefano Caselli, autore de “Un mondo fantasma. Per un’hauntologia di Breath of the Wild” in The Legend of Zelda. Estetiche, morfologie e rappresentazioni di un ciclo senza fine (a cura di Luca Papale, Ledizioni, 2024). “Quando spazializziamo la narrazione, come avviene in un videogioco, noi togliamo la narrazione dal tempo e la mettiamo nello spazio. Il game design è tutto cartografia, per questo i videogiochi sono pieni di narrazioni post-apocalittiche che attraverso lo spazio raccontano il passato. Inoltre, nel videogioco chi gioca è un agente che non appartiene al mondo di gioco. La tua stessa capacità di azione nel gioco è fantasmatica”.
L’intera triade dei personaggi principali di The Legend of Zelda è infestata dal passato, costretta da millenni in ruoli precisi, e vive in un mondo di rovine del passato, sia di quello di Hyrule sia di quello della serie, attraverso rimandi e riferimenti. Ma è Ganondorf il vero spettro. A partire da The Legend of Zelda: Ocarina of Time (1998), Ganondorf è persino spesso preannunciato o accompagnato dai suoi fantasmi, come se anche da vivo fosse già morto, o fosse egli stesso già fantasma. Perché in The Legend of Zelda, Ganondorf è il grande rimosso, l’inconfessabile. Unico uomo tra le Gerudo, un popolo costretto a vivere in un deserto di morte mentre il regno della principessa Zelda si gode i pascoli erbosi di Hyrule. Un popolo di sole donne, di ladre dalle pelle scura e dai costumi ispirati a quelli del Medio oriente, una caratterizzazione che nell’immaginario sessista e razzista su cui è costruito The Legend of Zelda definisce le Gerudo come selvagge, primitive, inumane. Una non-cultura. Quando la Triforza si spezza nei suoi tre frammenti in Ocarina of Time (resterà poi spezzata, e anzi verrà ulteriormente divisa in alcuni episodi) a Link spetta il frammento del Coraggio, a Zelda quello della Saggezza, ma è a Ganondorf che viene affidato il frammento della Forza. Quello che potremmo chiamare il mondo civile, il mondo di Link e Zelda, vuole cancellare e dimenticare la violenza quasi primordiale (e demoniaca) di Ganondorf, ma essa stessa fa a suo modo parte dell’equilibrio del mondo, ed è quindi destinata a riemergere.
“I demoni, specie quelli della cultura giapponese, si aggirano tra il visibile e l’invisibile, tra passato e presente, non rappresentano solo i defunti ma anche ciò che non si è mai realizzato – o deve ancora realizzarsi” scrive Diletta Coppi nel numero 28 della rivista Charta Sporca, dedicato ai Fantasmi. “Sono l’ombra di ciò che è stato scartato, rimosso, dimenticato. In un mondo che si immagina pienamente realizzato, e che pretende di ridurre ogni resistenza a un capriccio conformista, i fantasmi sono gli ultimi simboli «reali» di ciò che non si lascia inglobare dal sistema che struttura la nostra percezione della realtà. Tracce, resistenze, rimanenze di ciò che i discorsi dominanti non riescono a digerire” (corsivi nell’originale).
Il ciclico ritorno di Ganondorf viene usato da JohnLee Cooper per raccontare il ciclico ritorno del fascismo in Decomposing Corpse of Ganondorf. Un plundercore, cioè un videogioco realizzato usando elementi presi da altri videogiochi e, in questo caso, da internet. Asset evocati dal passato per infestare. Il gioco è stato sviluppato per l’evento Paradise Blitz Jam 8 dal tema “palinsesto”, un testo che è stato cancellato per riutilizzare il suo supporto ma di cui solitamente resta una traccia, uno spettro. In Decomposing Corpse of Ganondorf siamo uno sciame di mosche che cresce divorando i cadaveri, i modelli 3D, dei vari Ganondorf della serie The Legend of Zelda tra i grattacieli di una città, estratta dall’ambientazione Fourside di Super Smash Bros. Melee (HAL Laboratory, Intelligent Systems, Nintendo, 2001). Al centro della scena si trovano però anche due testi, tra cui una riproduzione del paragrafo inglese di Wikipedia che descrive l’esibizione del cadavere di Benito Mussolini a Piazzale Loreto nel 1945. “Ganondorf sembrava una metafora adeguata per il ritorno del fascismo che stiamo vedendo ovunque negli anni 2020” ci ha spiegato Cooper.
“In Italia c’è oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale” disse Umberto Eco nella conferenza del 1995 alla Columbia University da cui è tratto Il fascismo eterno (il testo qui riprodotto è dell’edizione 2017 de La nave di Teseo). “Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. Ma la repressione provoca nevrosi”. E poi Eco continuava: “[… A]nche se i regimi politici possono venire rovesciati, e le ideologie criticate e delegittimate, dietro un regime e la sua ideologia c’è sempre un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni. C’è dunque ancora un altro fantasma che si aggira per l’Europa (per non parlare di altre parti del mondo)?”
MATTEO LUPETTI
Matteo Lupetti si occupa di critica di arte, arte digitale e videogioco su testate come Artribune e Il Manifesto e all’estero. Ha fatto parte della redazione della rivista radicale menelique e della direzione artistica del festival di narrazioni di realtà Cretecon. Il suo primo libro è “UDO. Guida ai videogiochi nell’Antropocene” (Nuove Sido, Genova, 2023), rilettura del medium videoludico nell’epoca del cambiamento climatico e all’interno dei nuovi percorsi multisciplinari che mettono in primo piano il non umano e la sua agency.