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Il Metaverso di Lorenzo Montagna

di Alessandro Mancini

Negli ultimi anni abbiamo sentito parlare spesso di “metaverso”, soprattutto da quando, a ottobre del 2021, Mark Zuckerberg, il fondatore e proprietario di Meta, ha annunciato l’intenzione di cambiare il nome di Facebook Inc. in Meta, puntando tutto su questa tecnologia. Nonostante sia sulla bocca di tutti, in pochi sanno però spiegare cosa sia davvero e come funziona il metaverso. Abbiamo deciso così di intervistare Lorenzo Montagna, un esperto di tecnologie applicate ai media, per guidarci all’interno di questo mondo pieno di insidie e di promesse.  Montagna è stato CEO delle filiali italiane di marchi internet iconici, come Yahoo! e Altavista, e nel 2017 ha fondato la prima società italiana di consulenza sulle soluzioni enterprise AR & VR, denominata Second stAR VR. Nel 2022 ha pubblicato il suo quarto libro, “Metaverso. Noi e il Web 3.0”, proprio sul tema del metaverso.

Il termine metaverso sarebbe stato utilizzato per la prima volta nel romanzo di fantascienza di Neal Stephenson Snow Crash del 1992. Ci sono però immaginari simili o altri termini che descrivevano questa realtà già prima di questa data?

Il riferimento a questo romanzo è ricorrente perché lì per la prima volta si sente parlare di metaverso, ma credo che quasi nessuno lo abbia letto. È un romanzo cyber-punk e già per questo motivo è difficile ricondurlo a qualcosa di reale. La  storia del protagonista, che vive in un mondo parallelo grazie a un visore, fa riferimento indirettamente al mondo delle favole. Non si tratta di un concetto nuovo e per questo è sbagliato ricondurlo solo a quel romanzo.

Più che un mondo parallelo, il metaverso, sostengono gli esperti come Matthew Boyle e Cathy Hackl, sarà un mondo digitale evoluto e complesso, fatto di nuove tecnologie. In realtà, il mondo digitale complesso è già qui tra noi, anche se l’intelligenza artificiale (IA) sta catalizzando tutta la nostra attenzione. Quando questa bolla si sgonfierà, ci renderemo conto che questo è stato solo uno dei tanti elementi che avrà contribuito a creare il mondo digitale evoluto che sta arrivando. Quando Elon Musk dichiara che il prodotto su cui sta puntando è il robot che uscirà a dicembre 2025, possiamo intuire in che direzione sta andando il mondo.

Esiste un solo tipo di metaverso o ce n’è più di uno?
La cosa più giusta sarebbe parlare di metaverso al singolare, un po’ come si fa con Internet o il Web, anche se questo comprende miliardi di siti e di app. La scelta di chiamare ‘metaversi’ gli ambienti digitali 3D basati su piattaforme online come The Sandbox o Spatial ha contribuito però a creare confusione, inducendo le persone a credere che si trattasse di più metaversi. Il termine però dovrebbe essere ricondotto al singolare poiché si riferisce a una realtà generale.
Da quando Mark Zuckerberg ha presentato il suo progetto di sviluppo del metaverso nel 2021, diversi analisti hanno parlato di flop e di delusione delle aspettative, eppure, secondo uno studio realizzato dal Politecnico di Milano (PoliMi) per Meta, questo potrebbe avere un impatto di oltre 30 miliardi di euro e un punto di Pil sull’economica italiana, tra il 2024 e il 2029, mentre McKinsey ha stimato una valutazione di 5 mila miliardi di dollari nel giugno 2022. Chi ha ragione?

Quando ha annunciato la nascita di Meta, Zuckerberg ha fatto una mossa molto efficace, perché ha cambiato il nome dell’azienda in qualcosa che è rappresentativo di questo mondo digitale evoluto. Gli ultimi dati certificano il successo della sua intuizione: in questo momento il visore Meta Quest 3 ha la stessa traiettoria, in termini di vendite, dell’iPhone. Ricordo, inoltre, che anche questo, come oggi i visori, inizialmente non era considerato un bene di massa e costava 7-8 volte in più di un telefono normale.Il problema è che i media sopravvalutano queste innovazioni nel breve termine e le sottovalutano sul lungo periodo. A essere onesti, sicuramente l’adozione delle sue nuove piattaforme, come Meta Horizon, dove ci si muove con il proprio avatar, non è andata bene e non è stata così veloce come nei piani di Zuckerberg, ma ci stanno lavorando su. Ad esempio, pochi lo sanno, ma ad oggi ci sono già partite dell’NBA e qualche concerto distribuiti in modalità virtuale.


Il cripto-metaverso è già realtà. Ad esempio, oggi potenziali clienti possono acquistare articoli digitali a Gucci Town, Vans World e Nikeland sul cripto-metaverso Roblox; o assistere a sfilate di moda virtuali di Dolce & Gabbana su Decentraland. Attualmente gli iscritti sono ancora pochi, ma secondo te criptovalute e blockchain rappresentano il futuro dei pagamenti online?

Ho visto un’analisi dell’andamento di Ethereum che mostrava come fosse cresciuta tantissimo negli ultimi giorni, tanto che oggi vale addirittura più di Visa. Dopo un’iniziale periodo di demonizzazione, ora anche il sistema economico-finanziario tradizionale sta sdoganando le criptovalute: sono un esempio i fondi di investimento che stanno iniziando ad aprire ai bitcoin. Nel futuro avremo due filoni: quello di chi utilizzerà questi strumenti per gestire pagamenti e prenotazioni che viaggiano su cifre elevate, nell’ambito della moda e del turismo; un altro filone, meno legato dal prodotto e più al target, costituito di persone alto-spendenti e principalmente giovani, che utilizzeranno le criptovalute nello stesso modo in cui oggi usiamo PayPal.

Lorenzo Montagna. Credits Marco Bergamaschi
Realtà aumentata, realtà virtuale, mixed reality: le tecnologie immersive prendono diversi nomi in base alle loro caratteristiche e funzioni. Facciamo un po’ di chiarezza su queste tre diverse realtà. E cosa c’entra il metaverso con tutto questo?

Realtà aumentata, realtà virtuale e mixed reality vengono spesso chiamate con l’acronimo XR (extended reality, realtà estesa in italiano, ndr). La loro caratteristica è quella di rendere il digitale molto più vivido e reale. La realtà aumentata ci permette di vedere informazioni e dati sulla realtà che ci circonda ma offre un’esperienza non particolarmente interattiva. La realtà virtuale, invece, è in grado di virtualizzare lo spazio attorno a noi, attraverso l’uso di un visore. La mixed reality, infine, è un mix delle prime due, perché lavora in un ambiente in cui il visore è trasparente o in parte occluso, permettendo non solo di visualizzare gli oggetti nel mio campo visivo, ma anche di interpolarli, spostarli, rimpicciolirli o zommarli. Delle tre, è la più potente dal punto di vista tecnologico ed è quella sulla quale sta puntando Apple, con i suoi dispositivi di dispatial computing. Il metaverso è quindi la somma di tutti questi elementi, a cui si aggiungono gli NFT, il Cloud e il 5 e 6G: device che creano nuove esperienze da una parte e nuovi prodotti e servizi finanziari dall’altra. Questo rende bene l’idea della complessità del metaverso.


Nel 2017 hai fondato la prima società italiana di consulenza sulle soluzioni enterprise AR (augmented reality) & VR (virtual reality), denominata Second stAR VR. Di cosa si tratta e in che ambito opera la tua società?


È una società di consulenza pura. Non realizziamo i progetti finali, ma ci occupiamo della parte strategica e di implementazione di business per le aziende. Il nostro obiettivo è quello di creare consapevolezza su come sta cambiando il peso del digitale all’interno delle aziende dal punto di vista strategico, e incentivare l’acquisizione di nuove competenze attraverso tecniche ed esperienze come la VR, l’AR e l’MR (mixed reality, ndr) e il design thinking. Lavoriamo solo con grandi aziende, perché purtroppo sono solo queste che hanno il desiderio di capire e interpretare meglio il futuro. Oltre ad avere più capitale e personale a disposizione. Accompagniamo queste aziende, proprio come Peter Pan nell’Isola che non C’è (da qui il nome della società), verso questa innovazione, che non ha contorni molto definiti.
Ad esempio, ho portato Assicurazioni Generali a investire in un progetto a sfondo ESG (Environmental, Social and Governance, ndr) di VR, con obiettivo zero emissioni, per la presentazione di un’oasi WWF a giornalisti, istituzioni, dipendenti e scuole. Poiché portare tante persone a vivere un’esperienza del genere in un posto sperduto del centro Italia sarebbe stato molto complesso e poco sostenibile, la realtà virtuale ha permesso all’oasi di diventare ‘mobile’ e di trasportare le persone lì virtualmente senza necessità di spostarle.” Lo spazio non è stata l’unica soluzione, ma anche il tempo, perché nell’esperienza VR si vede sia l’Oasi attuale e le persone che ci vivono, ma anche il suo futuro, dopo diversi investimenti architettonici che trasformeranno quest’area in una nuova esperienza fisica reale per le persone nella natura.

 

C’è poi un’altra questione inquietante: l’eventualità che il mondo sintetico diventi migliore e quindi più desiderabile di quello reale.

Sono più di vent’anni che si parla di metaverso, ma oggi c’è ancora molto scetticismo sul tema. Non siamo ancora pronti ed è solo una questione di tempo, come è stato per l’IA, oppure è già morto prima di nascere davvero?


È una questione di tempo. Quando si tratta di tecnologia, più si va avanti e più si sbagliano le tempistiche. Pensiamo all’IA: non è nata di certo negli ultimi due anni. Esiste già da dieci anni. Basti pensare che i deepfake su Obama risalgono al 2016 e oggi siamo nel 2024. Negli ultimi otto anni non c’era però l’interesse quasi spasmodico che c’è oggi sull’argomento. Quello che succederà con il metaverso è lo stesso che è già accaduto con l’avvento di Internet sui telefonini, dell’e-commerce e delle app: all’inizio queste innovazioni furono accolte con scetticismo e ironia. Oggi fanno parte della nostra quotidianità. Ritengo inoltre che la narrazione mediatica di un Paese sia in parte frutto della sua cultura popolare. L’Italia è il Paese demograficamente più anziano del mondo dopo il Giappone; in secondo luogo, è un Paese che fa della tradizione e del passato i suoi punti di forza. Per queste ragioni è meno propenso ai cambiamenti.


Quali sono i maggiori rischi del metaverso?


I rischi ci sono e non sono banali. Più aumenta il grado di realismo della tecnologia, più questa può fare danni. Pensiamo, ad esempio, al problema del cybercrime e della tutela della privacy: se tutto diventerà digitale e sarà più facile, anche grazie all’IA, essere efficaci nelle frodi, di conseguenza aumenterà il rischio di subire furti d’identità e attacchi ai sistemi di sicurezza. Non è un caso Apple abbia negato la possibilità ai propri visori di trasferire sul Cloud i dati sensibili e biometrici degli utilizzatori per tutelarli. C’è poi un’altra questione inquietante: l’eventualità che il mondo sintetico diventi migliore e quindi più desiderabile di quello reale. Se infatti sarà possibile creare degli spazi e a fare le esperienze che desideriamo in una realtà ideale e quindi perfetta, l’effetto che potrebbe scatenare sarebbe simile a quello di una droga molto potente. Uno scenario che è già stato raccontato nel film Her (2013e che oggi, con l’ultima versione di ChatGpt, è altamente verosimile. D’altra parte, questa innovazione ci permetterà di sperimentare in modo sempre più realistico e confortevole qualunque attività che oggi svolgiamo a distanza, come meeting e riunioni. Un altro aspetto positivo potrebbe essere la possibilità di visitare virtualmente un luogo, prima di recarci lì fisicamente. La realtà esperienziale,  anche detta ‘estesa’, deve quindi essere vista sempre più come un’opportunità e non solo come una minaccia.

 
Alessandro Mancini

Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.