Scroll Top

“In quale casa passeresti la quarantena?”: estetica, nostalgia e sogni digitali nell’era post-lockdown

Dai social post-pandemici emerge un’estetica del rifugio: AI, nostalgia e ambienti impossibili costruiscono un nuovo linguaggio visivo fatto di silenzio e desiderio.

di Viola Giacalone

Per una frattura al malleolo, sto facendo esperienza di una permanenza a casa prolungata per la prima volta dal 2020. Ho fantasticato su questo momento a lungo, perché appartengo a quella categoria di persone che durante il lockdown – nel bene e nel male – furono felici. È un sentimento che è stato definito “quarantine nostalgia”: una forma di idealizzazione emersa nel tempo, che online, soprattutto su Tik Tok, si è tradotta in un’ondata di contenuti commemorativi in cui si rievoca quello strano periodo.

Quando non riesco a dormire, contro ogni consiglio di medici ed esperti, mi ritrovo a scrollare per ore, cercando contenuti che aiutino a rilassarmi. Così sono finita in un curioso girone di reels, una nicchia tra le migliaia di pagine in cui vengono mostrate immagini o video artistici e paesaggi creati con l’intelligenza artificiale, che ho scoperto avere radici proprio nella romanticizzazione del lockdown. 

I video di cui scrivo si distinguono perché sono come un personality test molto basilare, in cui viene solo chiesto di scegliere senza che poi ne consegua una risposta:  “Se conosci bene il tuo fidanzato quale di queste case preferisce?” , “Ti devi isolare per un anno, che casa scegli?” o ancora “Non dormi da due giorni, in quale di questi letti ti riposi?”  Le immagini che seguono sono generate con L’AI e numerate in modo da poter scegliere. Rappresentano case immerse in paesaggi diversi che corrispondono a clichés ben precisi : il deserto, la giungla, una montagna innevata, un bosco, una grande metropoli. Lo stesso vale per gli interni, che esaltano l’idea di comfort assoluto con decine di cuscini, maxi schermi, caminetti accesi quando fuori c’è il temporale. Li definirei degli ASMR visivi che mostrano le pagine di un catalogo di arredamento di un’altra dimensione.

Le pagine stesse sembrano spazi liminali: hanno nomi simili e impersonali: relaxvibes, dreamland, tranquilityflix, I commenti degli utenti sono sintetici, quasi rituali: “casa 2 e 6”, “la 4 sembra confortevole”.I link nelle loro bio rimandano a pacchetti di immagini, giveaway finti che promettono viaggi in luoghi immaginari o a pagine di Etsy in cui vendono puzzle e poster delle immagini usato nei video.   Mi sono chiesta chi creasse queste pagine e per curiosità ho scritto a una di queste: l’admin mi ha risposto dichiarandosi umano, ma confermando il mio sospetto sul fatto che molte di queste sono gestite da bot che caricano video rubati da altre pagine.

La cosa che più mi ha incuriosito è che quasi tutti questi contenuti erano accompagnati dall’hashtag #nostalgia, seguito anche da hashtag come #vibes #relax : sebbene l’accostamento sia piuttosto comune in diversi spazi di internet, in cui  la nostalgia per i tempi passati è spesso associata a una sensazione di pace e di conforto, e a immagini di spazi liminali e vuoti -basti pensare all’universo Vaporwave o al Dreamcore- non mi era chiaro quale fosse il legame con la nostalgia in quel caso. Poi ho trovato questi stessi video introdotti dalla domande “c’è una nuova pandemia in corso, dove passi la quarantena?” o “è di nuovo il 2020, dove soggiorni?” e ho orientato la mia ricerca in quella direzione. Su tiktok, fonte  di quasi tutti i trend che poi arrivano in ritardo di mesi su instagram ho cercato la canzone che accompagna la maggior parte di questi video, che è Let Go di Ark Patrol, e sono risalita all’origine del trend.

 L’origine del trend è strettamente legata a questa canzone: uscita nel 2015 divenne virale proprio nella primavera del 2020, perché pareva descrivere quel senso di malinconia dei primi mesi della pandemia. Nel brano di Ark Patrol, la voce rarefatta della cantante Veronika Redd emerge come un’eco da una stanza lontana, la musica costruisce un paesaggio liquido, fatto di riverberi e battiti sospesi, dove il tempo sembra sciogliersi  “This song makes me feel like : people I never met,  a world I was never in,  a feeling I had never experienced before, and memories I never had.” si legge in uno dei commenti con più likes sotto al video youtube.  Poco dopo il brano venne recuperata in senso nostalgico diventando uno degli inni del lockdown su tik tok, e usata per accompagnare il tipo di video di cui parliamo.

Questo è un classico esempio di “Nowstalgia”, un neologismo formato dall’unione delle parole “now” (adesso) e “nostalgia”, che si riferisce al fenomeno di provare nostalgia per eventi e tendenze molto recenti. Questa forma accelerata di nostalgia è particolarmente diffusa tra i membri della Generazione Z, ed è legata alla rapida nascita e scomparsa delle tendenze online. La pandemia di COVID-19 ha amplificato questo fenomeno: il lockdown e il distanziamento sociale hanno alterato la percezione del tempo e delle esperienze, creando la sensazione che anche i momenti vissuti da poco appartenessero già al passato.

Ad aprile 2020, come riporta il sito che archivia fenomeni virali e memetici del Web Know Your Meme,  divenne virale un gioco in cui si doveva scegliere in quale casa abitata da un gruppo di celebrità si sarebbe passata la quarantena.  Già dal mese prima comunque erano apparsi una serie di articoli e di thread che invitavano a scegliere la casa in cui avremmo voluto passare il lockdown se avessimo saputo in anticipo quello che stava per succedere. In effetti tanti avevano poi rimpianto di non essersi trasferiti o scelto un altro posto per isolarsi quando ancora potevano . Gli articoli presentavano principalmente una selezione di ville appartenenti a celebrità, ma anche casa fittizie provenienti da set di film o create digitalmente, da lì arriva probabilmente il contenuto dei nostri video.

Molte delle case proposte in questi reels sono infatti ville lussuose, con grandi spazi, giardini, viste mozzafiato. infatti capita che la domanda introduttiva sia più direttamente orientata a una questione economica: “Puoi avere una casa gratis, quale casa scegli?”, “Hai vinto la lotteria, quale casa scegli?”. Questo ci riporta a una delle grandi verità della pandemia: la disparità abitativa. Le restrizioni furono molto più dure per chi viveva in spazi piccoli, senza affacci, senza aria. Quei giorni ci hanno fatto desiderare spazi che oggi, anche solo in forma digitale, continuiamo a cercare.

Ma c’è anche un’altra componente: quella onirica. I video iniziano spesso con scene irreali, al rallentatore, come in un sogno lucido. Hanno un effetto ipnotico. Una mano nell’acqua, un salto tra le nuvole, una canoa in mezzo al lago. La presenza frequente dell’acqua in questi reels rimanda semanticamente all’immersione in un sogno, e la sensazione è accentuata dai riverberi della canzone. Questi POV richiamano anche  l’immaginario dei videogiochi in prima persona, tanto che dei programmatori di videogiochi hanno usato il trend per pubblicizzare i loro nuovi prodotti, ma il gioco in questi video si limita allo scegliere dove si giocherebbe, dopo l’intro non c’è altro se non contemplazione degli scenari. L’admin della pagina con cui ho parlato mi dice:  ” le clip iniziali servono principalmente a catturare l’attenzione: sono rilassanti e attirano lo sguardo, senza un significato particolare, solo esteticamente piacevoli.”

Il proliferare di questi contenuti riflette un cambio di rotta nell’ecosistema digitale: un incremento degli ambienti puramente visivi, dove l’immagine non è soltanto contenuto, ma linguaggio, identità, atmosfera.

Fa quasi sorridere che tanta cura nel costruire una cornice onirica serva a introdurre qualcosa di così basilare come una stanza da letto. Ma forse è proprio qui il punto: la semplicità dei desideri. Spazio, quiete, riposo, un gioco fine a se stesso. Il trend si è ovviamente evoluto ed è stato declinato come spesso avviene in versioni più strane e assurde. Le domande sono diventate sempre più specifiche e ironiche, da “in che casa vuoi abitare” si è arrivati a “in che bar alieno ti prenderesti una sbronza colossale con i tuoi amici?”, “in che mondo fantastico partiresti per un’avventura?” Ci  sono anche tante pagine che propongono questo tipo di video a tema medievale, un un immaginario molto popolare al momento. 

Il proliferare di questi contenuti riflette un cambio di rotta nell’ecosistema digitale: un incremento degli ambienti puramente visivi, dove l’immagine non è soltanto contenuto, ma linguaggio, identità, atmosfera. Non cercano di venderci qualcosa, non pretendono di insegnarci nulla. Gli e le admin non parlano. Nel tentativo di capire cosa spinga una persona a gestire un account di questo tipo, ho chiesto direttamente all’admin. La risposta è stata semplice: “mi diverto a fare i video a intrattenere le persone”.

In un’epoca in cui i social media ci sommergono di narrazioni personali, opinioni forti e vite curate fino all’estremo, cresce il bisogno di spazi digitali che offrano silenzio visivo e conforto emotivo. I contenuti personali, anche quando autentici, attivano spesso dinamiche di confronto sociale, generando ansia e senso di inadeguatezza. Nel 2019 il teorico McKenzie Wark scrive che “i social non sono più solo spazi di opinione, ma archivi visivi dell’anima” (Capital Is Dead) e questo è sempre più vero, l’identità online si costruisce meno con le parole e più con colori, texture, suggestioni, insomma con le “vibes”.

Si osserva così un ritorno a quello che adesso viene chiamato slow content, e la diffusione di ambientazioni digitali immersive. Un articolo pubblicato su The Times nel maggio 2025 racconta come la Generazione Z stia progressivamente abbandonando piattaforme come Meta, preferendo spazi percepiti come più autentici e meno commercializzati, come Tumblr o Pinterest. E se ripensiamo alla “quarantine nostalgia”, il collegamento è chiaro: ciò che abbiamo più rimpianto di quel periodo era proprio la lentezza, il silenzio, le strade vuote, le giornate lunghe da riempire con attività banali.

Come scrive l’autrice Legacy Russell, “nell’estetica digitale non cerchiamo conferma, ma risonanza: vogliamo sentirci riflessi, non osservati” (Glitch Feminism, 2020). In questo contesto, piattaforme come Pinterest e questi archivi silenziosi di Instagram diventano spazi dove la costruzione del sé passa attraverso ciò che si salva e si colleziona – o attraverso la scelta della casa immaginaria in cui si vorrebbe vivere.

 

Viola Giacalone

Viola Giacalone, o Viola Valéry, nata a Firenze nel 1996, è una giornalista, scrittrice e memer fiorentina. Si laurea in letteratura comparata alla Sorbonne Nouvelle a Parigi, con una tesi magistrale sulle nuove scritture creative del web. Prosegue i suoi studi in giornalismo culturale al City College di New York e all’Accademia Treccani di Roma. Attualmente collabora con diverse realtà editoriali, culturali e radiofoniche (Controradio Firenze, RadioRaheem Milano).

LEGGI ALTRO